L'intervista

Fabrizio Corona, lo psichiatra De Maio: "Contro di lui invidia sociale, perché il carcere non è la soluzione"

Giulia Sorrentino

L'intervista allo psichiatra Luigi De Maio sul caso-Fabrizio Corona.

Dottor De Maio, cosa ne pensa del ritorno in carcere di Fabrizio Corona e della sua situazione da un punto di vista psichiatrico?

Il carcere per un soggetto patologico come Fabrizio Corona non è redimente, sarebbe meglio inserirlo in un contesto lavorativamente e socialmente accettabile per fargli comprendere ce c’è la possibilità della redenzione. Non è l’ambiente carcerario quello in cui lui può guarire. Anche il fatto che lui sia un personaggio di una determinata portata ritengo che non gli faccia avere un comportamento paritetico rispetto agli altri, perché è comunque il personaggio che sta in galera, e questo spesso fa comodo.  C’è un’invidia sociale, che non ha nulla a che fare con il concetto di detenzione, perché il carcere deve servire non soltanto come una punizione, ma come la possibilità del reinserimento del soggetto all’interno della società 

Dal punto di vista psichiatrico, prettamente medico, e quindi centrale in questo fatto di cronaca, quanto sarebbe importante che lui e per tutti i soggetti affetti da questi disturbi che scontassero la pena in un ambiente come quello domestico?

Non credo che sia solo il suo caso appunto, ma di tutte quelle persone che hanno un quadro psichiatrico importante. Lui dovrebbe essere inserito in un progetto di recupero serio e specifico, dove le sue capacità possano emergere e dove possa avere un serio supporto emotivo, di sostegno. E’ fondamentale il rapporto con la sua famiglia, ha bisogno di affetto e protezione, non guarderei solo allo sconto della pena in casa, ma a che cosa porterebbe tutto questo, ovvero essere contornato dagli affetti sinceri. 

Vorrei fare un appello: gli psichiatri e i neurologi devono avere un peso importante in queste vicende, perché siete voi gli esperti della mente umana.

E’ un bel progetto, sarebbe importante che noi venissimo ascoltati nel vero senso della parola, ma spesso ci si scontra con la rigidità della legge. Prima di tutto nel caso di Corona dobbiamo assicurarci che abbia una diagnosi certa che sia curata farmacologicamente con uno supporto psichiatrico serio e di psicoterapia che lui possa accettare, perché queste persone hanno anche un’intelligenza superiore, rapida, fulminea, che spesso spiazza l’interlocutore. C’è una forte incapacità a comprenderlo, non viene ascoltato quanto dovrebbe e quest’uomo sente e avverte di aver subito un’ingiustizia. Qualcuno si è mai chiesto il perché, da dove nasce la sua storia, la sua patologia?

Che cosa vuole dire esattamente?

Intendo dire che è sempre stato visto in modo negativo. E’ stato sempre giudicato ed invidiato, perché non dimentichiamoci che un altro sentimento dilagante è l’invidia sociale, che ci porta ad assumere il comportamento da giustizieri della notte. 

Lei ha vissuto molto l’ambiente carcerario, quindi non parla sicuramente per sentito dire. Che cosa le ha insegnato la sua esperienza?

Mi sono occupato per molto tempo di perizie psichiatriche, e mi sono trovato difronte a persone che avevano solo risposto male ad una guardia carceraria e per cui si è aperto un iter lunghissimo. Ci sono spese economiche e di tempo che nemmeno immaginiamo.  Manca la valutazione del perché del quando e del come, che però è fondamentale. Abbiamo la valutazione del dato di fatto: se il dato di fatto è questo sei punibile punto e stop. Perché non si entra nel merito delle cose? Perché se si facesse, in qualsiasi situazione, costerebbe troppo in termini emotivi. Bisognerebbe vedere il lato umano, il singolo caso, e non sentirsi investiti da un qualcosa di superiore. Ti ho sorpreso con le dita nella marmellata e non vedo se lo hai fatto perché avevi un calo ipoglicemico, perché avevi fame, mi basta averti colto in fallo e questo non dovrebbe succedere, bisognerebbe sempre guardare oltre. 

Ricordiamo però che c’è una grande parte della magistratura che fa egregiamente il suo lavoro e senza i quali noi avremmo seri problemi. Quello del magistrato spesso è un ruolo difficile e non vanno additati tutti, anzi.

E’ verissimo, concordo. Quando il giudice mi chiama e mi chiede che cosa ne penso sono felice, perché posso esprimere il mio pensiero al di là della “semplice” relazione scritta. Ogni cosa che noi facciamo ha un prezzo e gli errori vanno pagati, ma il tutto va anche rapportato alle condizioni psicofisiche di quella persona. Non dimentichiamoci mai di questo, perché l’errore deve essere adeguato al vissuto, alla situazione attuale, non si può banalmente applicare un qualcosa del tipo “2+2= 4” perché sviliremmo l’essere umano e la sua storia nonché patologia.