Nel mirino

Filippo Facci, la replica alla sinistra: "Accusato di reati inesistenti"

Filippo Facci

I weekend estivi costringono a occuparsi anche di spiacevoli sconfitte professionali, e una mi vede nel ruolo di protagonista. La comparsa invece è Sandro Ruotolo, senatore e responsabile informazione del Pd, il quale mi ha attribuito quattro reati sanzionati dal Codice di procedura Penale, ossia: 1) Razzismo; 2) Sessismo; 3) Apologia del fascismo; 4) «Vittimizzazione secondaria» di una presunta stuprata. Questi reati deriverebbero tutti dal passaggio di un mio articolo pubblicato sabato su Libero, questo: «Una ragazza di 22 anni era indubbiamente fatta di cocaina prima di essere fatta anche da Leonardo Apache La Russa». È un passaggio stilistico, può non piacere e infatti non è piaciuto a molti - e la mia sconfitta professionale e il mio dispiacere derivano proprio da questo: ne hanno fatto un caso, questo senza aver letto tipicamente il resto dell’articolo da cui il passaggio è estrapolato. Vale per chiunque sia intervenuto su questa polemica e abbia addirittura ritenuto di investirne la Rai, colpevole di avermi proposto dal settembre prossimo una collaborazione per ora neppure formalizzata.

 

 


Chiunque abbia letto tutto l’articolo, e sottolineo chiunque (compreso il deputato del Pd che per primo mi ha avvertito di questa polemica per mancanza d’altre) ha convenuto che il mio articolo fosse ordinario ed equilibrato, tanto che l’inizio era questo: «Il presunto stupratore e la presunta stuprata potrebbero aver detto entrambi la verità o essere convinti di averla detta, ricordata o ricostruita». Il passaggio successivo della frase incriminata, quella che stilisticamente non è piaciuta a tutti- il che non mi rende automaticamente razzista, sessista, fascista e vittimizzatore improprio – è invece quest’altro: «Ogni racconto di lei sarà reso equivoco dalla polvere presa prima di entrare in discoteca, prima di chiedere all’amica “sono stata drogata?” anche se lo era già di suo». Che è un dato di cronaca, anzi, è esattamente quello che sta succedendo.

 


Poi nell’articolo do anche torto al Presidente del Senato – nel ruolo di padre – e scrivo che «è vero, tra il fatto e la denuncia sono passati quaranta giorni, ma per la nostra giurisprudenza significa poco: è lo stesso genere di perplessità, pur istintiva, che aveva avuto Beppe Grillo nello scagliarsi contro l’accusatrice di suo figlio Ciro». Ma così sto già passando dalla parte del torto, sto facendo il complessato, come se dovessi dimostrare qualcosa: il mio articolo è lì da leggere, chi mi deve impiccare almeno prima lo legga. Detto questo, la mia sconfitta professionale consiste tipicamente nell’illudersi che i più ti leggano per intero prima di esprimersi, che magari conoscano i tuoi trascorsi, addirittura i tuoi libri, che abbiano cognizione di causa prima di attribuirti odiosi reati: l’illusione, insomma, che non ti trasformeranno in carne da cannone per alimentare le polemiche politiche di cui ti ritrovi a essere lo strumento del giorno, da trascurabile vittima secondaria. Riscriverei quella frase? No, perché conta un fatto solo: che la frase non ha portato niente di buono, ho fornito ingenuamente un pretesto a chi non cercava altro, e più in generale ho fatto malintèndere un intero articolo. La professionalità innanzitutto, l’orgoglio personale poi.