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Da Burke a Cuoco: i magnifici 7 della cultura conservatrice

Possiamo dire di destra ogni pensatore che si oppone all’idea illuministico-giacobina di una storia in marcia trionfale verso il Progresso. Dunque l'intellettuale britannico e l'omologo italiano
di Corrado Ocone martedì 5 agosto 2025

3' di lettura

Siamo proprio sicuri che i “magnifici 7” del Pantheon della destra italiana siano quelli indicati ieri da Alessandro De Nicola su La Stampa? Per rispondere, forse occorre prima di tutto chiarirsi. Non è possibile definire, in positivo, chi sia un pensatore di destra. Fra quelli che definiamo tali ci sono infatti così tante differenze che mai come in questo caso ha un senso rispolverare il vecchio detto latino: tot capita, tot sententiae (“tante teste, tante opinioni”). In negativo però possiamo dire di destra ogni pensatore che si oppone all’idea illuministico-giacobina di una storia in marcia trionfale verso il Progresso, che l’uomo può solo accelerare e non contrastare. Il marxismo, da questo punto di vista, è figlio di Rousseau più che di Hegel, come aveva intuito il filosofo comunista Galvano della Volpe in un suo vecchio saggio. Da qui, da parte della destra, una visione, se vogliamo, meno lineare e più tragica della storia, ove nulla è garantito, ove l’uomo non è numero o massa, ma con la sua libertà forgia ogni giorno, insieme ai suoi simili, il proprio destino.

Da qui anche un’attenzione alla storia e alla tradizione piuttosto che alla Ragione, o meglio la convinzione che in esse siano depositate tanta saggezza e ragionevolezza che non è possibile buttare al vento per seguire schemi razionali astratti. Una tale definizione di “pensiero di destra” trova riscontro nella genesi storica del concetto di destra, che, così come quello di sinistra, nacque all’indomani della Rivoluzione francese, come reazione agli eccessi del giacobinismo e all’idea di voler rifare daccapo e senza mediazioni l’uomo e il mondo. Proprio per questa origine, pensatori di destra per antonomasia sono il britannico Edmund Burke, autore delle Riflessioni sulla Rivoluzione in Francia (1790), e il suo omologo italiano, Vincenzo Cuoco, che nel Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799 (1801) criticò l’idea dei giacobini partenopei di imporre le idee francesi alla diversa realtà del Sud Italia. La critica al costruttivismo o “ingegneria sociale”, cioè all’idea che la Ragione e i suoi interpreti (le élite illuminate) possano stabilire dall’alto ciò che è buono e giusto e imporlo al popolo attraverso l’azione dello Stato, ricongiunge il pensiero di destra al liberalismo. Da questo punto di vista, Alexis de Tocqueville, nell’Ottocento, e Michael Oakeschott, nel secolo scorso, credo siano due figure di liberal-conservatori che molto hanno da insegnarci: il primo con la sua insistenza sull’autogoverno delle piccole comunità, luogo di elezione della libera democrazia americana; il secondo con la sua implacabile critica del “razionalismo in politica”, che considerava il peggior male dei nostri tempi. La stessa critica della Ragione illuministica, con la riabilitazione del pregiudizio e del principio di autorità, si trova in Verità e metodo (1960), l’opera maggiore di Hans-Georg Gadamer, il principale allievo di Heidegger. In tempi più vicini, su un punto sono d’accordo con De Nicola: un pensatore di destra, quasi paradigmatico, è sicuramente Roger Scruton, il teorico del conservatorismo.

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Tradendo il suo pregiudizio elitista, De Nicola tende a considerare Scruton una sorta di conservatore “presentabile”, non “aggressivo”, attento “alla bellezza, all’arte e al paesaggio”, che molto a suo dire sarebbe servito alla destra italiana a renderla più sensibile “ai temi della conservazione e della qualità della vita”. Ove queste categorie poco hanno a che fare con la sostanza di un pensiero (quanto ad aggressività, la sinistra, da Marx in poi, non è stata da meno della destra). De Nicola ha comunque il merito di segnalare il fatto che i pensatori di destra sono stati spesso “irregolari” e “eterodossi”. È sicuramente un complimento: la storia dimostra che la cultura è andata sempre avanti grazie a coloro che hanno rotto le abitudini mentali e spezzato i cliché del proprio tempo, che hanno pensato con la propria testa ma non in modo velleitario. Ma, d’altronde, può non essere irregolare chi contesta la tesi che la storia vada in una unica e prefissata direzione, che il buono e il giusto sia già scritto e che chi lo nega è ignorante o in malafede? Da questo punto di vista, credo che il pensatore di destra più significativo sia da considerarsi o Friedrich Nietzsche, il più implacabile e radicale distruttore dei miti del pensiero progressista e della modernità. In qualche modo, la destra, ma forse noi tutti, siamo suoi figli. Nel bene come nel male.

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