Come cane e gatto: ingegneri noiosi, architetti creativi. Così vuole la leggenda. I primi sempre con calcolatrice e compasso in mano, meticolosi fino alla pignoleria, monocordi in tutto il resto della vita. I secondi geniali, scoppiettanti, con cui ti diverti a fare serata e da cui c’è sempre qualcosa di nuovo da imparare. Sono balle. E il libro di Maurizio Milan, ingegnere di lungo corso- Affinità strutturali (Bompiani) - dimostra quanto certi luoghi comuni, talvolta con un fondo di verità, vadano comunque presi con le pinze. Da più di quarant’anni il veneziano Milan lavora gomito a gomito con mio padre Renzo – Piano, l’architetto genovese che si arrabbia se lo chiamano archistar – costruendo in ogni angolo del mondo. Hanno lasciato segni in Uganda e a Mosca, in Grecia e Bosnia-Erzegovina, ma anche a casa nostra. Insieme hanno firmato l’auditorium dell’Aquila, costruito subito dopo il terremoto, la chiesa di San Pio a San Giovanni Rotondo, il Muse di Trento che celebra la scienza, lo stadio di Bari, la torre piloti nel porto di Genova che sembra una sentinella sull’attenti, fino al ponte San Giorgio, allora Morandi, che l’incuria e l’avidità di taluni hanno lasciato crollare insieme a quarantatré vite.
Genova e Venezia: due repubbliche marinare, due mari opposti, la laguna quieta e le onde che schiaffeggiano la costa. Caratteri diversi che si completano. Nel momento in cui scrivo i due parlano animatamente dei progetti in corso: il nuovo campus del Politecnico alla Bovisa, tre ospedali in Grecia immersi nel verde, uno d’eccellenza a Palermo, e l’Orto rampante sulle alture di Alassio, sogno visionario di Antonio Ricci che pensa al dopo Striscia. Potrei continuare a elencare, ma la cosa importante è che si tratta quasi sempre di luoghi pubblici: scuole, musei, biblioteche, ospedali, università, tribunali, centri culturali, periferie maltrattate da rammendare. Sono posti dove la gente si incontra, si conosce, si confronta. Spazi che, come scrive Milan, costituiscono la struttura fisica che rende possibile la democrazia.
Il loro sodalizio nasce all’inizio degli anni Ottanta, quando si incontrano sul cantiere dell’arca del Prometeo, l’impianto scenico per un’opera d’avanguardia di Luigi Nono da allestire nella chiesa sconsacrata di San Lorenzo a Venezia. Milan aveva trent’anni, una zazzera rossa alla Sinner e tanta voglia di esplorare. L’avventura prese subito la piega dell’imprevisto: poco prima del debutto un barcone si rovesciò e i pannelli in legno dell’arca finirono alla deriva davanti a piazza San Marco. Una scena surreale, degna di un film di Sorrentino, che non impedì però di terminare in lavoro. Noi italiani, nelle situazioni disperate, tiriamo fuori il meglio. Da allora giocano a ping-pong insieme. È la metafora che più li rappresenta: uno manda la pallina oltre la rete, l’altro risponde, ma nel rimbalzo l’idea torna modificata, arricchita. Un progetto prende forza solo dal confronto, dalla complicità, dalla disponibilità a farsi contaminare. Da soli, anche l’intuizione migliore rischia di sgonfiarsi, come un mozzicone di candela che si consuma senza dare più luce. Non li ho mai sentiti dire: non si può fare.
Il più grande arco antisismico al mondo in pietra naturale? Si può fare. I muri in argilla rossa dell’ospedale pediatrico di Emergency a Entebbe? Si può fare, basta trattarli per resistere al clima africano. Una micro-casa abitabile e autonoma, senza allacciarsi a reti elettriche o idriche? Si chiama Diogene, come il filosofo che stava nella botte. Creare grandi strutture in legno lamellare, rigenerabile e resistente agli incendi? Certo che si può fare. Non mollano mai. Costruire rifugi dove vivere e stare insieme è una necessità primordiale dell’uomo. Forse seconda solo al bisogno di cibo. Farlo in sicurezza significa sfidare uragani, terremoti, alluvioni, la forza di gravità, la sciatteria del guadagno e l’usura del tempo. La natura non è né buona né cattiva, semplicemente indifferente. Le scuole, i ponti, le case non possono crollare come a San Giuliano vent’anni fa, con la strage dei bambini, o sul Polcevera. Non c’entra la fatalità: servono soluzioni semplici a problemi complessi. Cane e gatto? No, architetto e ingegnere remano sulla stessa barca. Sono parte di una famiglia, unita dall’orgoglio di edificare, che si ritrova nel cantiere, un luogo di pace e di ottimismo dove l’idea si materializza. Non sempre, però, il destino aiuta. Capita di innamorarsi di un progetto, curarlo come fosse un figlio e doverlo abbandonare. È successo con il Palasport di Ravenna o con la Cava di Sistiana. Fa parte del mestiere: qualche intoppo, lungo la strada, è inevitabile. Il libro racconta anche questo, ma soprattutto l’amicizia che si è cementata negli anni: fra battibecchi talvolta crudi, vacanze da incubo, incontri indimenticabili e aneddoti gustosi.Come quella volta a Sarajevo, quando Milan andò per fare un ponte e finì per interpretare Bill Clinton nel film Benvenuto Mr. President.