Emilio Fede saluta per l’ultima volta. Il decano dei “telegiornalisti” italiani è morto ieri, all’età di 94 anni, nella Residenza San Felice a Segrate, vicino Milano, dove era ricoverato da alcuni giorni. Vicino a lui, nel momento del trapasso, la figlia Sveva.
Era stato proprio l’aggravarsi delle condizioni di salute del giornalista, già molto precarie da tempo, a consigliare alle figlie, Sveva e Simona, di trasferire il papà dalla Rsa dove a metà luglio aveva rilasciato la sua ultima intervista, proprio a Libero. «Guardo la televisione. Mi informo. Ma la tv di oggi non mi piace, è diversa da quella che facevo io» ci aveva detto. Il giornalismo, infatti, secondo lui era cambiato rispetto a quello che faceva lui. Innovatore, direttore, fin quando ha potuto, ma rimasto sempre con l’anima da cronista.
PERDITE INCOLMABILI
È stato un addio molto lento e dolente, quello dell’ex direttore del Tg4, iniziato di fatto con la scomparsa della moglie Diana Di Feo, avvenuta nel giugno del 2021, e poi con la perdita di Silvio Berlusconi, nel giugno del 2023, suo ultimo datore di lavoro ma anche e soprattutto amico fraterno di cui lui era stato araldo indiscusso nell’età dell’oro.
Lutti mai del tutto elaborati, come testimoniato dallo stesso giornalista negli ultimi due anni durante i quali, attraverso un uso convulso del suo profilo Instagram, ha provato a raccontare la cognizione del dolore di un mondo che, in particolare dal 2012, aveva visto crollare pezzo a pezzo dopo averlo visto crescere e rinforzarsi, non senza vanità e orgoglio, caratteristiche peculiari dell’uomo, da quel lontano l 24 giugno del 1931, quando Emilio era venuto al mondo nella sua Sicilia, a Barcellona Pozzo di Gotto.
Dalla Sicilia, però, partirà giovanissimo. Tanto che, poco più che adolescente, già si proponeva al Messaggero di Roma come cronista, inventando, qualche tempo dopo, la rubrica Arrivi e partenze dedicata alla vita più o meno sfavillante sul lido di Ostia. Note glam che saranno un’altra costante - nel bene e nel male - dell’esistenza del giornalista.
Se tutto, pure per Emilio, era iniziato dalla parola scritta, il personaggio sin da ragazzo era ben consapevole delle sue doti - anche estetiche- e la neonata tv un richiamo troppo forte per essere ignorato. Entra così in Rai nel 1958 come conduttore a contratto e sin da subito inizia a rappresentare il meglio (ma anche qualche motivo di imbarazzo) per la tv di Stato che entrerà nella sua vita pure per via matrimoniale. Nel 1965, infatti, sposa Diana De Feo, figlia dell’allora vicepresidente Rai, Italo De Feo.
RACCONTI DAL BIAFRA
Diviene inviato speciale in Africa da dove firmerà reportage memorabili che per primi destarono le coscienze degli italiani sulla fame patita dai bambini dell’Africa Nera. Celeberrimi i racconti dal Biafra, lo stato separatista nato nel sud della Nigeria alla fine degli anni 60. In Africa prenderà anche la malaria, evenienza che lo riporterà a Roma dove, nonostante il nomignolo di Sciupone l’Africano - che Emilio si era guadagnato per le spese in eccesso messe a conto di Mamma Rai e su cui lui per primo ironizzava, - ad attenderlo c’era altra fortuna. Dal 1976, infatti, prenderà la conduzione del Tg1 delle 20, telegiornale ammiraglio della Rai che Emilio ha diretto per due anni. Altro passaggio tragicamente memorabile della carriera di Fede fu la prima vera “maratona”, quella con cui l’allora direttore del Tg1, nel giugno del 1981, decise di seguire in presa diretta quello che doveva essere il salvataggio del piccolo Alfredino Rampi, il bambino caduto nel pozzo a Vermicino, vicino Roma.
Divenne dannatamente la prima vera “presa diretta” sulla cronaca in fase di svolgimento. Paradigma per tutta la narrazione giornalistica televisiva da lì in avanti. Fede resterà poi in Rai fino al 1987 quando lasciò l’azienda inseguito dalla prima ondata di guai giudiziari che lo costrinsero a ricominciare dalle tv private. Rete A prima della Fininvest ma poi, all’alba degli anni ’90, grazie a un’intuizione di Bettino Craxi, a riportarlo ancora una volta in alto, arrivò proprio la chiamata di Silvio Berlusconi. La futura Mediaset non aveva ancora le news e chi meglio dell’uomo degli scoop e delle intuizioni poteva fare al caso del Cav?
LA GUERRA
Da allora nacque un sodalizio ferro. Benedetto da altri scoop: anzitutto quello del 16 gennaio 1991 quando, nel neonato Studio Aperto, Fede dà per primo la notizia dell’attacco americano a Baghdad, anticipando tutti di quaranta minuti. Qualche giorno dopo un altro annuncio scoop: la cattura dei piloti italiani Bellini e Cocciolone. Nel 1992 passa alla guida del Tg4. L’annodi Mani Pulite lo vede protagonista, con Paolo Brosio collegato dal Palazzo di Giustizia di Milano.
Nelle lunghe stagioni di governo di Silvio Berlusconi, nel 1994 ma ancor di più tra il 2001 e il 2006, Emilio Fede è stato una presenza fissa in tv, a perorare la causa berlusconiana, in particolare durante l’edizione delle 19 del suo tg dalla quale per oltre vent’anni ha raccontato la versione dell’Italia più azzurra possibile, senza negare mai la sua appartenenza alla creatura politica (oltre che aziendale) del Cav, restandone orgoglioso, anche se quelle posizioni (e le sfuriate rese note dai fuorionda di Strscia la Notizia) lo hanno reso celebre anche come parodia di se stesso.
FINALE AMARO
Decisamente più amaro il finale di carriera che lo vedrà messo alla porta da Mediaset nel marzo 2012, dopo l’esplosione di uno scandalo che lo vide accusato di aver esportato capitali in Svizzera. Su uno degli strascichi giudiziari di quella vicenda ha messo la parola fine nel 2021 la Cassazione, confermando a carico di Fede la condanna per tentata estorsione nell’ambito del processo per il fotoricatto nei confronti di Mauro Crippa, il direttore generale dell’informazione di Mediaset.
Nel 2020 all’ex direttore del Tg4 tocca anche l’onta dell’arresto in pubblico, sul lungomare di Napoli, mentre cenava con la moglie Diana (morta un anno dopo). Fede era evaso dagli arresti domiciliari per festeggiare con la sua amata quello che sarebbe stato il suo ultimo compleanno insieme. Una fattispecie talmente particolare che, addirittura secondo il giudice, «affievoliva notevolmente il dolo dell’evasione».