Nel chiedere alla sinistra di non tirare per la giacca la figura di Giorgio Armani eravamo stati buoni profeti. Il gioco a far apparire il Re della moda per quello che non era, è proseguito senza soste e senza rispetto per quello che è stato lo stilista. Ma perché questo accanimento? Probabilmente perché non gli hanno mai perdonato di non essersi schierato e di aver vestito e intrattenuto relazioni con donne e uomini di destra e di sinistra. Così come non gli hanno mai perdonato il fatto di vestire gli uomini da uomini e le donne da donne, indipendentemente dalle loro inclinazioni sessuali.
Da vivo, probabilmente, temevano una sua reazione nel tirarlo in mezzo a queste beghe. Così hanno aspettato che non potesse più replicare e sbugiardare improvvisati biografi portatori di tesi bislacche sul suo conto. Ieri La Stampa aveva un titolo che recitava così: “Democratico e antifascista”. Ma nell’articolo non ci trovavi nulla di tutto questo, semplicemente perché Armani non ha mai manifestato le sue idee politiche. E allora ecco che, con sonoro stridere di unghie sullo specchio, apprendiamo che «Armani nel tempo, decidendo chi vestire, ha in qualche modo fatto capire chi preferisse, almeno in estetica» e parte l’elenco che comprende le piddine Giovanna Melandri e Anna Finocchiaro e Liliana Segre. Come a dire, beh è chiaro che Re Giorgio era del Pd...
Se dovessimo seguire la stessa logica, allora avremmo dovuto titolare che negli ultimi anni si era convertito al centrodestra, visto che - non è un segreto- Armani ha curato il look del premier Giorgia Meloni, della quale disse, tra l’altro in maniera piuttosto esplicita: «Non capisco di strategie politiche, ma Giorgia Meloni credo abbia due attributi del corpo abbastanza robusti. Non li ha ma è come se ce li avesse». Non per questo, lo ripetiamo, ci permetteremmo mai di tirare Re Giorgio perla giacca e attribuirgli simpatie verso Fratelli d’Italia.
La realtà, con buona pace della sinistra, è che Armani nel corso della sua carriera si è curato il giusto della politica facendone sempre un fatto di moda e vestendone i protagonisti indipendentemente dal loro orientamento politico, come dimostra il fatto che accanto alla già citata Meloni, a vestire Armani sono state anche la democratica first lady americana Hillary Clinton, o l’esponente del Partito Popolare e presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen. Della quale tutto si può dire tranne che sia di sinistra. E lo ha sempre fatto con quella professionalità e quel distacco che lui aveva elevato a stile di vita.
Poi c’è chi gli riconosce di aver abbattuto le barriere del maschilismo. Lo dice la giornalista di La7 Lilly Gruber: «È stato il primo stilista a vestire la donna che lavora, ha creato un nuovo immaginario globale e contribuito a rompere muri di maschilismo che sembravano invalicabili in settori cruciali della società e dell’economia». Ma, a dirla tutta, è stato anche lo stilista che - anche recentemente ha sviluppato due concetti ben chiari. Il primo era quello della sobrietà, del togliere invece di mettere, e questo valeva soprattutto per gli abiti femminili, che - e su questo ha ragione Gruber- ha ridisegnato, appunto, nella loro semplicità e rigorosa eleganza, per essere indossati anche tutti i giorni per andare in ufficio.
Il secondo è quello secondo il motto già citato de: l’uomo si deve vestire da uomo e la donna da donna. Così Armani è stato anche lo stilista unico nel panorama mondiale dei grandi - a non cedere alla “Lgbtizzazione” della moda. Pochi anni fa fece sfilare cinque coppie composte da un uomo e da una donna e alla fine spiegò la sua decisione con queste parole: «È una scelta precisa, si parla di un uomo e di una donna che si vogliono bene, che si amano. Facciamo vedere questa realtà che piace a tutti. Poi ci sono le trasgressioni, le varianti, le modernità, vanno bene non dico nulla naturalmente. Un uomo e una donna che si amano piacciano a tutti». Affermazioni che scatenarono l’ira delle varie organizzazioni Lgbt, che lo accusarono, manco a dirlo, di maschilismo. La morale di tutta questa faccenda è questa: comunque la si veda, la grandezza di Giorgio Armani è stata quella di parlare con tutti senza schierasi con nessuno. Perché la linea da seguire era una e una soltanto: la sua. Quella che da Piacenza lo portò in cima al mondo.