Le luci si abbassano, l’orchestra attacca, il sipario del Teatro Comunale di Piacenza si apre. In platea, un ragazzino trattiene il fiato: davanti a lui l’Opera, con i suoi costumi, le sue voci, il suo fascino irripetibile. Quel ragazzino si chiama Giorgio Armani. Non diventerà un tenore né un direttore d’orchestra, ma porterà per sempre con sé quella magia, trasformandola in segno, in linea, in eleganza. E anni dopo, contro ogni previsione, diventerà anche un grande costumista d’Opera. Opera e moda: due mondi apparentemente distanti, ma che in Italia rappresentano due pilastri della nostra identità culturale: Armani ha saputo congiungerli con naturalezza. Il suo nome evoca giacche destrutturate e tailleur impeccabili, ma la sua estetica sobria e rigorosa ha trovato un posto anche nei teatri lirici. Memorabile il Così fan tutte di Mozart del 1995 alla Royal Opera House di Londra: chiamato da Jonathan Miller, Armani abbandonò la tradizione dei costumi d’epoca per vestire Mozart con linee pulite, toni neutri e un’eleganza quasi psicologica. Una rivoluzione: non più il costume come ambientazione, ma come vero strumento drammaturgico.
La trovata geniale stava proprio nel contrasto con ciò che il pubblico era abituato a vedere. Normalmente Così fan tutte si rappresentava in sontuosi abiti settecenteschi: giacche ricamate d’oro, gonne a paniere, corsetti rigidi, parrucche cipriate. Tutto un universo visivo che ribadiva l’appartenenza dell’Opera a un’epoca precisa. Armani invece ruppe lo schema: mise in scena abiti dalle linee essenziali, giacche scivolate, gonne leggere, colori sobri. Non tolse la bellezza, ma la fece diventare attuale, comprensibile, vicina al pubblico contemporaneo. Questa differenza non fu soltanto estetica: cambiò la percezione stessa dei personaggi. Dorabella e Fiordiligi, libere dalle gabbie del corsetto, apparivano più donne reali che figurine di un tableau settecentesco; Guglielmo e Ferrando, privati di merletti e piume, diventavano giovani uomini concreti, calati in una dimensione psicologica più che storica. Armani capì che per parlare al presente bisognava liberare l’Opera dal peso del costume-museo e ridarle la leggerezza del sentimento umano.
Da quel momento gli stilisti entrarono ufficialmente nei templi della lirica. Dopo Armani arriveranno Valentino con la Traviata all’Opera di Roma, Versace, Prada. Ma il primo a varcare la soglia fu lui, con la sua misura e la sua capacità di rendere universale il gusto italiano. Il rapporto con l’Opera si è consolidato soprattutto attraverso il legame con il Teatro alla Scala. Armani fu nominato Fondatore Sostenitore del teatro, sancendo un impegno che va oltre la semplice passione. Nel 2021 è stato partner della Prima che riapriva la stagione dopo la pandemia, con Macbeth: per l’occasione omaggiò i palchi con rose e orchidee, un gesto simbolico di rinascita. E nello stesso anno donò un abito iconico della collezione Armani Privé, in un intenso rosso magenta, pensato come omaggio a Milano e ispirato al canto, alla vibrazione della voce lirica.
Non è un dettaglio: Armani stesso ha dichiarato più volte di trovare ispirazione nella voce, nella sua forma e nella sua energia: così come la voce modella l’aria e la trasforma in musica, lui modella i tessuti trasformandoli in eleganza. Il parallelo è evidente: i suoi abiti non sono mai esibizione, ma misura, esattamente come un cantante che dosa fiato e fraseggio. Armani non è stato quindi solo uno stilista “prestato” al palcoscenico: ha introdotto una nuova grammatica estetica, portando la sobrietà nel luogo per eccellenza del fasto, e restituendo all’Opera una nuova modernità. Da Piacenza a Londra, fino a Milano, la parabola è chiara: Giorgio Armani, il ragazzo che ascoltava la Lirica incantato, è diventato l’uomo che ha insegnato all’Opera a vestirsi di modernità. Non un costumista tra i tanti, ma l’autore di una rivoluzione silenziosa e memorabile che ha unito due orgogli d’Italia: la moda e la musica.