Nella chiesa di San Damiano, fuori dalle mura di Assisi, Francesco ebbe la chiamata dal crocifisso. Lì Santa Chiara visse con le sue “sorelle” e lì Francesco, malato e sofferente, compose il suo luminoso inno di lode al Creatore, 800 anni fa.
Per questo lì sono esposte oggi nove tele di Gino Covili che illustrano i versi del Cantico delle creature più quelle della predica agli uccelli e della morte di frate Francesco che l’artista donò ai frati (poi vedremo perché).
Covili (vedi Libero, 23 giugno 2019) è fra i maggiori pittori italiani del Novecento. Nel 2002 alla Mostra internazionale del cinema di Venezia, Vittorio Storaro presentò il film Gino Covili. Le stagioni della vita. E nel 2005 al Parlamento italiano fu esposta la mostra Storaro-Covili: il segno di un destino.
È un pittore importante anzitutto per la qualità straordinaria della sua arte. Ma anche perché, con il suo realismo magico, racconta quella millenaria civiltà contadina che è finita, quasi di colpo, negli anni Sessanta del ’900. Una civiltà che Pasolini raccontava (scrivendo delle lucciole) e che rimpiangeva osservando la «mutazione antropologica degli italiani».
È la civiltà che ha realizzato, nel corso dei secoli, l’opera d’arte collettiva che sono le nostre campagne, con le loro storie, i riti, i paesi, i borghi e le chiese. Vengono da lì molti nostri grandi artisti e la religiosità che abbiamo ereditato.
Di quella civiltà, raccontata per immagini da Covili, vivono oggi isolate testimonianze poetiche e spirituali. Penso a Giovanni Lindo Ferretti, anche lui emiliano e anch’egli pellegrino di un cammino che dal comunismo reggiano lo ha riportato al cristianesimo dei padri.
Covili nacque a Pavullo nel Frignano, in provincia di Modena, nel 1918, in una famiglia modesta. Dovette andare a lavorare fin da ragazzo e, dopo l’8 settembre 1943, essendo militare, per evitare la deportazione in Germania andò in montagna coni partigiani. Durante la Resistenza conobbe le idee comuniste e aderì al Pci.
Dopo la guerra lavorò come manovale e poi come bidello di scuola, mestiere che gli permise di coltivare la sua passione per la pittura e di far emergere il suo grande talento. Ma come nacque il ciclo su san Francesco?
Lo ha raccontato il figlio Vladimiro che, nel gennaio 1992, ebbe un grave incidente stradale e restò in coma per un mese. Il padre Gino, in quei giorni, «si chiuse nel suo studio» racconta Vladimiro «e dipinse un quadro, un Cristo in croce dolente. Erano più di 40 anni che non pregava, ma tornò a farlo nell’unico linguaggio che sentiva proprio: la pittura».
Vladimiro uscì dal coma e scoprì che suo padre - ateo convinto stava leggendo e dipingendo san Francesco: «Io pensai “ma è matto?” e non ero certo l’unico ad essere stupito», però «Gino si giustificava con gli amici dicendo: “scusa, ma cosa dovevo fare, pregare Marx? Io ho pregato per mio figlio” ». Dietro la tela del Cristo in croce, che regalò a Vladimiro, l’artista scrisse come ex voto: «Mi hai ascoltato Cristo, grazie».
Poi dipinse un ciclo su san Francesco ritrovando in lui l’umile Italia appenninica che amava e il cristianesimo che era l’anima di quel popolo. Ispirato a quell’ex-voto, il 12 ottobre, a San Damiano, in occasione della conclusione della mostra per l'800° anniversario del Cantico delle Creature, va in scena la prima tappa dello spettacolo itinerante, readingdi parole e musica, Francesco. Un'altra storia dopo l’anteprima nazionale tenutasi alla Casa Museo Covili pochi giorni fa. Un evento molto suggestivo.