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Putin è rimasto il solito comunista: cosa ci dice la strategia dello Zar

di Antonio Socci venerdì 22 agosto 2025

4' di lettura

Per quanto i (neo, post o ex) comunisti nostrani, fischiettando, facciano finta di non conoscerlo, Vladimir Putin è (e rimane) un compagno, un comunista del Pcus fatto e finito, uscito dalla gelida fabbrica del Kgb. La riabilitazione dell’Urss in corso in Russia in questi anni (compresa quella di Stalin) lo dimostra platealmente. Come la felpa con la scritta CCCP esibita provocatoriamente dal ministro Lavrov in Alaska. Cosa comporta il comunismo di Putin? Vuol dire che comprende soprattutto il linguaggio della forza, della supremazia militare e della violenza, perché è quello dalla storia sovietica, è il marxismo-leninismo. Perciò tende a considerare la mano tesa dell’avversario come un segno di debolezza.

In queste ore si ha la sensazione che - sbagliando Putin stia interpretando appunto come un segno di debolezza dell’Occidente il generoso tentativo di pacificazione di Donald Trump, che si è esposto molto per fermare il conflitto in Ucraina e, come ha detto l’altro ieri, per salvare (anche con la benedizione del Papa) migliaia di vite ogni giorno.

Putin tende a considerare pure la democrazia come una debolezza che rende vulnerabile un sistema. Forse guardando al “modello Cina” crede che lo sfacelo del comunismo sovietico, basato sul disprezzo dei diritti umani e sulla menzogna sistematica, sia dovuto solo al fallimento dell’economia collettivista. Crede che basti un’economia capitalistica per far durare il suo autoritarismo. Non capisce che solo la libertà e il rispetto della dignità della persona garantiscono la tenuta morale di una società. Sono la forza dell’Occidente, non la sua debolezza.

La sottovalutazione dell’interlocutore occidentale porta Putin anche a sopravvalutare la propria potenza. È il caso di ricordare che dopo tre annidi guerra e di massacri non è riuscito nemmeno a conquistare tutta la regione del Donbass.

In sostanza l’Ucraina ha perso territori, ma ha perso meno vite umane (circa 80 mila) e non ha perso la guerra (che nei disegni iniziali prevedeva la conquista di Kiev). La Russia ha conquistato territori, ma ha perso più vite umane (circa 250 mila) e non ha vinto la guerra. Secondo il Center for Strategic and International Studies di Washington, in Ucraina la Russia ha avuto cinque volte più vittime tra morti e feriti di tutte le guerre russe e sovietiche sommate insieme, tra il 1945 e il 2022.

Al Cremlino capiranno che il negoziato e il compromesso servono anche a loro? O si illuderanno di poter dettare le condizioni e ottenere la resa dell’Ucraina e dell’Occidente? Purtroppo sembra prevalere questa seconda ipotesi. Se Putin volesse davvero la pacificazione non avrebbe intensificato, in queste ore, i sanguinari bombardamenti sui civili. Avrebbe potuto (e dovuto) dare già una risposta positiva e concreta riguardo ai bambini ucraini (de)portati in Russia, come gli ha chiesto Melania Trump nella sua lettera. Invece nulla. Continua a tenere in ostaggio dei bambini. C’è da sperare che le prossime ore dissolvano questi timori, ma se il leader russo dovesse continuare a seguire questa politica, addirittura con un “prendere o lasciare” sulle sue condizioni, Stati Uniti ed Europa dovrebbero passare a un “piano B”.
Il presidente americano ripete che, se Putin facesse saltare il negoziato, andrebbe incontro a serie conseguenze. Non è dato sapere quali possano essere. Però è necessario che l’Occidente abbia un “piano B” somigliante a un grosso bastone nodoso, perché è ciò che può far capire a Mosca la convenienza del negoziato. Secondo l’adagio di Roosevelt: «Speak softly and carry a big stick; you will go far» (Parla gentilmente e porta con te un grosso bastone; andrai lontano).

Ha ragione Giorgia Meloni a chiedere che Putin, prima di altri incontri, prenda impegni formali, dia delle garanzie certe, vista anche la propensione di Mosca a disattendere gli accordi. Nel frattempo la preziosa “unità dell’Occidente” che si è vista a Washington è la garanzia migliore e dovrebbe rafforzarsi. Chi semina divisione nel campo occidentale lo indebolisce e di fatto, volente o nolente, finisce per fare un favore a Putin. Che lo faccia per protagonismo personale e nazionale (come qualche Paese europeo) o lo faccia per propaganda spicciola di partito in Italia, l’effetto (negativo) è lo stesso.

Il negoziato è materia delicatissima perché mira a spegnere un conflitto che potrebbe davvero degenerare in una terza guerra mondiale, perfino nucleare, in Europa. Non sono accettabili giochetti politici di piccolo cabotaggio e meschine speculazioni.

Un eventuale trattato avrebbe una portata storica perché ridisegnerebbe l’ordine mondiale in modo equilibrato, dal punto di vista politico, economico e commerciale, con una pacifica collaborazione/competizione che potrebbe spegnere i focolai di guerra.

Potrebbe spostare la Russia verso occidente favorendo anche il ritorno a quel cammino democratico di Mosca che era iniziato negli anni Novante ed è poi abortito.
In fondo sarebbe questa la più efficace delle garanzie di sicurezza, per l’Ucraina e per l’Europa.
 

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