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Beatrice Venezi, che vergogna il tiro al piccione

Si parla di una direttrice d’orchestra di fama. Dopo l’inarrivabile Riccardo Muti, la signora è probabilmente la bacchetta più nota al grande pubblico. Ma questa è una colpa anziché un merito agli occhi di chi la contesta
di Pietro Senaldi lunedì 29 settembre 2025

3' di lettura

Beatrice Venezi è una direttrice d’orchestra di fama. Dopo l’inarrivabile Riccardo Muti, la signora è probabilmente la bacchetta più nota al grande pubblico ma questa è una colpa anziché un merito agli occhi di chi la contesta, la definisce «influencer» e sostiene che «l’arte non è intrattenimento». È stata nominata direttore musicale del Teatro La Fenice di Venezia dal sovrintendente, Nicola Colabianchi, che ha lasciato troppo a lungo il posto scoperto ed è stato poi costretto a una scelta rapida, senza confrontarsi con l’orchestra e i sindacati, come aveva invece promesso loro. Venezi è anche giovane, bella, di simpatie meloniane dichiarate e coraggiose, visto l’ambiente in cui opera, nonché figlia di un ex dirigente di Forza Nuova. È quindi oggetto di mal celata invidia e astio partigiano da parte degli orchestrali, sconosciuti quanto virtuosi operai del pentagramma che si fregiano del titolo di professore e la rifiutano per un misto di ideologia becera e sessismo tossico, giudicandola non alla loro altezza. La bocciano senza averci mai lavorato insieme, per pregiudizio, antipatia o per sentito dire. In più argomentano la loro ribellione con falsità, come che il teatro non è abituato a direzioni così giovani e che la acerba non avrebbe adeguata esperienza internazionale. Tuttavia dal 2011 al 2014 il teatro aveva un direttore, Diego Matheuz, che al momento della nomina aveva 27 anni, ma era sponsorizzato da Claudio Abbado, e Beatrice ha diretto al Coliseo di Buenos Aires, all’Holland Park di Londra, alla Filarmonica giapponese, in mezzo mondo e mezza Italia.

PRETESTO
Il pretesto è la tutela dell’arte, il che rende la loro posizione insindacabile ai più. A contestare il giudizio dovrebbe essere il sovrintendente, che ha scelto la direttrice e ne capisce, ma Colabianchi, dopa aver pasticciato, sembra in balia degli eventi. Dopo averla nominata in un modo che pare fatto apposta per bruciarla, l’uomo si «scusa per la decisione presa con urgenza», fa una difesa d’ufficio della prescelta, chiede di «darle un’occasione», giura che «non aprirà la stagione». Insomma, la delegittima anziché aiutarla; forse per salvarsi, forse perché anche lui non gradisce in Laguna qualcuno che possa offuscarlo. Ne consegue inevitabilmente che i giornali più o meno antipatizzanti verso il governo intingono il biscotto nella vicenda con voracità, dipingendo l’episodio come un caso di ingerenza del potere nell’arte, senza indagare se questo sia vero e sorvolando sul fatto che, nel caso, non sarebbe certo la prima volta.

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PRECEDENTE
Quanto a Venezi, al momento tace, non potendo far parlare la musica. Senz’altro è lei per ora la sola vera vittima della vicenda, che rischia di costituire un precedente pericoloso. Se La Fenice rifiuta Beatrice, chi altri potrà poi accettarla senza passare per un palcoscenico di secondaria importanza? La sfida di potere tra sindacalisti e orchestrali snobbati e un sovrintendente pasticcione può bruciare quella che fino a ieri era ritenuta una direttrice d’orchestra di sicuro avvenire che non aveva chiesto niente a nessuno. Nel giubilo dell’intellighenzia progressista, che nella direttrice vede un rivale politico da abbattere e non un patrimonio artistico da conservare e le consiglia il passo indietro per il suo bene. “Com’è triste Venezi”, titolava la Stampa. La vicenda si avvia verso un esisto prevedibile; con l’unico colpo di scena che la direttrice d’orchestra risorgerà dalle proprie ceneri prima della Fenice. E senza dover dire grazie alla politica, che semmai le è d’intralcio.

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