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Ca’ Foscari, il coraggio di Lucetta Scaraffia sia di esempio

La storica si è dimessa dal comitato etico in seguito alla decisione dell’ateneo di interrompere ogni rapporto con università e centri di ricerca israeliani
di Corrado Ocone lunedì 6 ottobre 2025

3' di lettura

L’uomo è un essere tendenzialmente mimetico, che cerca cioè sicurezza nel conformismo e nell’adesione alle idee del gruppo. La grande eresia su cui si è costruita la civiltà occidentale è consistita in una rivolta contro questa tendenza, nell’affermazione della libertà individuale e dello spirito critico come valori. Nella costituzione di uno spirito libero, e perciò aperto al confronto e al dialogo fra idee diverse e diverse opinioni, un ruolo fondamentale hanno svolto le istituzioni educative. L’Università, soprattutto, in età moderna ma anche prima (si pensi alle Disputationes delle scholae medievali), si è caratterizzata come un luogo franco di libera discussione, ove la verità non consisteva nella trasmissione dall’alto di un pensiero unico, cioè nell’indottrinamento, ma nella ricerca in comune attraverso le armi della retorica e della logica di soluzioni condivise e sempre passibili di essere emendate e sconfessate. La crisi dell’Università occidentale, sempre più dominata dalle forze del conformismo e dell’esclusione, non va perciò presa sottogamba perché segnala la crisi di un mondo intero, il nostro mondo, democratico e liberale. È in questo sconsolante scenario, purtroppo non solo italiano, che va inserita la vicenda che ha visto protagonista nei giorni scorsi la storica Lucetta Scaraffia, che ha avuto la forza e il coraggio di dimettersi, fra la pavida indifferenza di molti suoi colleghi, dal comitato etico dell’Università Ca’ Foscari di Venezia in seguito alla decisione dell’ateneo di interrompere ogni rapporto con università e centri di ricerca israeliani e di impedire addirittura ogni forma di collaborazione con singoli ricercatori di quel paese se costoro non abbiano preventivamente dimostrato di essere contrari al governo di Netanyahu.

Insomma un attestato di fede ideologica, nonché «il cedimento a logiche di discriminazione che nulla hanno a che fare con la libertà accademica», come ha scritto la Scaraffia in una lettera a Il Foglio. Ora, già che possa esistere un comitato che stabilisca per decreto ciò che sarebbe etico, è una particolarità di un’epoca come la nostra che ha perso cognizione di ciò che sia veramente morale. Ma che poi tale commissione, che ricorda esperienze sperimentate negli Stati totalitari, si arroghi il diritto di suggerire agli organi decisionali accademici chi censurare ed espellere perché portatore di un “pensiero difforme”, è una vera e propria perversione. Giustamente, la Scaraffia ha non solo rivendicato la possibilità di avere un’idea diversa da quella della maggioranza dei suoi colleghi (spesso intimoriti dalla presenza minacciosa di minoranze aggressive di studenti nei loro corsi), ma si è anche chiesta perché un trattamento così intollerante tocchi oggi ad Israele, che continua ad essere una democrazia, e non ai tanti Stati autoritari che violano in ogni parte del mondo i più elementari diritti umani.

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Sicuramente c’entra in tutto questo l’ignoranza e il conformismo politico. C’entra però molto anche il sentimento antioccidentale che è proprio di ampi settori della cultura, che vedono in Israele un avamposto del nostro mondo in Medio Oriente. Che poi tutto questo possa saldarsi, e in qualche caso già si sia saldato, con la costante intolleranza antisemita di una certa sinistra, è elemento che rende la situazione ancor più preoccupante e pericolosa. Non resta che augurarsi che sempre più voci libere e coraggiose come quelle della Scaraffia si levino alte e restituiscano un po’ di dignità alla nostra cultura e alle nostre università.

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