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Massimo Lovati, non solo gaffe e colpi di scena: chi è davvero l'avvocato

di Claudia Osmetti martedì 14 ottobre 2025

4' di lettura

“La versione di Lovati”. I capelli bianchi scarmigliati, la erre moscia, quel tono per la verità mai urlato neanche quando la china sembra andare per il peggio («mi hanno tirato una bomba fangosa»), epperò sopra le righe dal primo momento, stravagante, bizzarro, persino un tantinello eccentrico che su un avvocato penalista, per giunta di provincia, importa zero se risucchiato nel caso del decennio, stona sempre un po’ («il mio assistito non c’entra niente con questa storia, nemmeno con gli ambienti di chiese e oratori: è un comunista, un disadattato»). Massimo Lovati è il legale più chiacchierato d’Italia: vigevanese di nascita, classe 1952, iscritto all’albo professionale di Pavia dal 4 maggio di esattamente trent’anni dopo, pressoché sconosciuto al grande pubblico fino al marzo scorso, quando l’inchiesta bis di Garlasco ha iscritto (di nuovo) nel registro degli indagati il suo concittadino Andrea Sempio e, da allora, catapultato in un continuo di esposizioni mediatiche. «A un certo punto mi sono ritrovato in questo ingranaggio della tivù. Se debbo essere sincero, io nemmeno mi piaccio. Ma mi chiamano sempre, dicono che funziono e la gente mi segue». È la storia nella storia, il delitto della villetta a via Pascoli e tutto il suo contorno, fatto per metà di legittima cronaca nera e per l’altra metà di morboso crime-voyeurismo (non che Lovati ne abbia colpa, è la legge del mercato: questa è la parte che vende).

ONIRICO, IRONICO
Non è sui social, il difensore di Sempio: in compenso è in quasi tutte le trasmissioni che si occupano della vicenda. Non ha una pagina su Wikipedia: in compenso i giornaloni fanno a gara a intervistarlo. Non si sa se sia sposato, se abbia figli, sulla sua vita privata è riservatissimo: in compenso nel resto è spiazzante, a tratti irriverente («l’incubo che avevo avuto è che mettessero il dna di Sempio apposta nel Fruttolo», «gli ho detto: “Andrea, vattene fuori dai coglioni, almeno venti giorni ti prendi le ferie»), è un’anticonformista onirico («Chiara fu uccisa perché a conoscenza di segreti indicibili su esorcismi e riti satanici, però non posso provarlo, è un mio sogno»): è quasi oracolare, è criptico, in un certo senso, forse a modo suo, risulta persino ironico, Lovati è uno finito nell’occhio del ciclone due volte. La prima perché ha accettato uno degli incarichi più sotto i riflettori dell’anno («un caso che ho preso a cuore, intanto perché Sempio è amico di Angela che è stata la mia praticante, e poi perché mi stuzzicava»), la seconda perché ha accettato di parlarne praticamente con chiunque.

Massimo Lovati, una sconcertante difesa sull'alcol: "È vero, bevo. Ma..."

Travolto dalle polemiche per il video diffuso da Fabrizio Corona e indagato per diffamazione dopo aver definito l’...

Per ultimo con Fabrizio Corona: lui, adesso, spergiura di essere caduto nel «trappolone», di essere stato ingannato, di essere stato contattato perché Corona «voleva realizzare una serie televisiva con personaggi di fantasia, quest’estate mi ha detto: “Adesso non vanno più di moda Fedez, la Ferragni, Belen, ma personaggi come te o De Rensis”», che poi è il collega che difende Alberto Stasi, ma nel frattempo è finito sul canale YouTube Falsissimo e da lì, il passo verso «la bufera» è stato breve. «Doveva essere una sorta di fiction con protagonista un certo Gerry-la-rana nei panni di un avvocato senza scrupoli, un faccendiere dedito all’alcol e al gioco d’azzardo». «Ho detto: “Proviamo”» e «abbiamo bevuto, bevuto tanto, e lui (Corona, ndr) mi faceva bere sempre di più, diceva: “Vai a ruota libera, di’ quello che vuoi, usa parole volgari perché quello è il personaggio, tanto poi faccio taglia e cuci ed elimino i nomi”. E invece...». Invece Lovati specifica: «È vero, io bevo. Ma sia chiaro, io l’alcol lo sopporto bene». E poi aggiunge: «Spero che tutto rientri, ma in ogni caso non ne farò una malattia».

LA BOLLA DELLA SETTIMANA
Con Corona è appena andato a briglia sciolta, la puntata numero sedici di Falsissimo ha già macinato più di 800mila visualizzazioni in rete ed è stata caricata giusto sei giorni fa: «Con Sempio da solo non ho mai parlato, non mi interessa»; «Napoleone (il procuratore capo di Pavia, ndr), da quello che mi hanno riferito, qualche talpone ce l’ho anch’io, voleva chiedere l’archiviazione, quell’altro invece, quello lì dell’Opus Dei, Civardi... (il pm pavese che ha riaperto il faldone, ndr); si lascia scappare persino un commento sull’omicidio di Yara Gambirasio che con Garlasco c’entra un piffero (secondo Lovati sarebbe facile scarcerare Massimo Bassetti, ndr) e, il giorno dopo, sarà costretto a chiedere scusa ai genitori della ragazzina bergamasca “se si sono sentiti offesi”». Smentite, confutazioni, rettifiche. Tempo qualche ora scoppia la bolla della settimana.

E lui lì, Lovati, nel mezzo, pacifico, preoccupato solo «per le iniziative disciplinari che mi hanno affibbiato, ma mi difenderò» (si è beccato una segnalazione dal Consiglio distrettuale dell’ordine forense e potrebbe pure essere sollevato dell’incarico), calmo come quando nel 2017 sosteneva che ci fosse stata una «macchinazione organizzata dagli investigatori degli avvocati di Stasi» (tesi ripescata anche più di recente, seppur con qualche divagazione sul tema, e che gli è valsa una denuncia per diffamazione dallo Studio Giarda che ha seguito Stasi nei primi otto anni del processo), tranquillo come quando ha affermato, mica una volta, che «per me Stasi non è entrato in quella casa, è una pedina». La pista del santuario della Bozzola, un po’ complotto, un po’ fantasia e chimera, un po’ mistero inenarrabile. L’ipotesi del killer di professione: «Non parlo da avvocato ma da cittadino e da criminologo, è stato un sicario». La resa prima anticipata: «Non si arriverà mai alla verità: Stasi, Sempio, le Cappa non c’entrano niente. Chiara potrebbe essere stata uccisa da un’organizzazione criminale». Interpretazioni, varianti, perifrasi: mai ritrattate ma neppure provate con la certezza che meriterebbero le evidenze dibattimentali, per certi versi finite nello sfogo della madre di Sempio, Daniela: «Abbiamo scelto lui perché costava poco». «Se prendo le tabelle professionali per tutto quello che ho fatto altro che 10mila euro vengono 100mila. Quindi in fondo è vero: ho preso poco», la sua replica, l’ultima. Per ora.

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