Greta Thunberg focalizza il ricordo degli abusi subiti, e decide di condividerli. Lo fa sul giornale svedese Aftonbladet, lo fa proprio nelle ore in cui esplode in faccia al mondo il calvario biennale degli ostaggi detenuti dai galantuomini in kefiah mai condannati da Greta, ma di nuovo è tempistica, l'insinuazione è nell'occhio di chi legge. A caldo, e ancora nei giorni successivi, aveva proclamato di non volere parlare della sua esperienza per non oscurare la «causa palestinese». Adesso, forse delusa dai difensori della causa che si sono precipitati a firmare la pace di Trump per portare a casa la pelle, forse intuendo che c'era una narrazione da bilanciare (il rischio supremo è che l'ebreo passi per il torturato, dannazione), ha esternato.
Con dettagli certamente sgradevoli e se veritieri indifendibili, intendiamoci, percosse in primis. Ma alle nostrene anime belle già impegnate nella gara dell'indignazione a scoppio ritardato vorremmo sottoporre un'analisi comparata che coinvolge loro, non Greta. Settecentotrentotto giorni legato a una catena, in un tunnel sottoterra, senza luce, mangiando occasionalmente qualche pezzo di pita: Elkana Bohbot, ostaggio israeliano. «Mi hanno tolto l'igienizzante e la protezione solare»: Benedetta Scuderi, europarlamentare Avs, “martire” della Flottiglia. Sempre da solo, in un tunnel minuscolo e buio, picchiato fino a svenire e operato alla mano senza anestesia: Matan Angrest, ostaggio israeliano. «Hanno rovistato nelle nostre borse»: ancora Scuderi. Costretto a scavare la propria stessa fossa, malnutrito, con le ossa sporgenti come altri ebrei in altri tempi: Evyatar David, ostaggio israeliano. «Mi hanno fregato il cellulare, e mi hanno fregato pure le sigarette, otto pacchetti!»: Arturo Scotto, deputato Pd, “martire” della Flottiglia.
Ha perso il 40% del peso corporeo, abusato nelle viscere di Gaza: Avinatan Or, ostaggio israeliano. «Ci hanno rifiutato il caffè»: ancora Scotto. Questo fino a ieri, fino alla denuncia ritardata della Thunberg, è stato il racconto delle atrocità commesse dall'Idf contro i santi, poeti e navigatori della Flottiglia. Ovvero, a rigore, di un gruppo di crocieristi che si era messo in testa di forzare un blocco navale allestito in una zona di guerra (peraltro da una democrazia impegnata in una lotta esistenziale con una banda terroristica nazi-islamista, ma queste erano note a margine, lo sono sempre state). Poi, è arrivata la realtà, brutale e definitiva come accade quando non è passata al setaccio dell'ideologia. Come il volto di coloro che sono rimasti in vita, dei “salvati” che avranno per sempre incisa nell'anima la ferita di non essere stati tra i “sommersi”, come raccontava Primo Levi.
Ed è stato l'Orrore. Autentico, innegabile, puro: l'ebreo in gabbia, l'ebreo ridotto a cumulo di pelle e ossa che scava la propria tomba tra le risate dei carcerieri, l'ebreo denutrito, l'ebreo seviziato, l'ebreo cosificato e addirittura mercificato perla sopravvivenza degli aguzzini. Sempre, invariabilmente, in quanto ebreo. Un colpo di coda del Novecento peggiore, un meccanismo tecnicamente nazista. Di fronte a cui la privazione della caffeina e del tabacco suona grottesca, e onestamente anche la rivelazione tardiva sui calci e gli oltraggi sessisti non pare intonatissima. Ma sarà solo un problema di tempistiche.