Secondo Giacomo Marramao gli intellettuali disorganici come Pier Paolo Pasolini hanno un amaro destino: «Restare pietra dello scandalo per la destra come per la sinistra, pur avendo fornito ad entrambe le armi della critica contro ogni forma di reificazione». Ora va detto che a sinistra si accorgono della ricchezza e della profondità di Pasolini solo in termini di contraddittorio con l’altra parte. Così se accade che la Fondazione An organizzi un convegno sull’autore di “Ragazzi di vita”, ecco subito gli strilloni antifascisti pronti a ululare alla luna. Poi se il convegno è chiuso da Ignazio La Russa non ce la fanno a non esternare il loro sdegno. Come le ricche signore che se la prendono con la cameriera che ha rubato loro un pezzo dell’argenteria che stava seminascosto in una vetrinetta del salotto buono, inutilizzato ma guai se mani profane si azzardano a sfiorarlo... Ora, oggettivamente, il titolo del convegno è in sé una provocazione “Pasolini conservatore”. Francamente secondo noi sarebbe stato più azzeccato “Pasolini reazionario”, come Umberto Croppi definì il poeta «legato all’idea di un passato perduto e irripetibile».
Insomma non era contro l’aborto? Non era contro i figli di papà sessantottini? Non scrisse versi su Ian Palach, icona dei giovani neofascisti degli anni Settanta? Non aveva avuto un fratello trucidato dai partigiani comunisti a Porzus? Non aveva scritto su Il Reporter, rivista finanziata da Arturo Michelini? E infine non era forse stato espulso dal Pci nel 1949 per indegnità morale? Cos’è allora tutto questo cicalare scomposto su un convegno che naturalmente doveva farsi a destra e per la destra visto che già nel 1988 Lodovico Pace, responsabile culturale della federazione romana guidata da Teodoro Buontempo, aveva organizzato un meeting pasoliniano sul poeta che avrebbe dato via la Fiat per una lucciola? Un convegno che si tenne, tra l’altro, nella sezione martire di Acca Larenzia (sul dibattito che anche allora ne nacque si veda il testo di Adalberto Baldoni e Gianni Borgna, “Una lunga incomprensione. Pasolini tra destra e sinistra”, Vallecchi).
All’epoca furono anche quelli di destra a alzare il sopracciglio censore. Ma come, si parla bene del “pederasta” Pasolini? L’eretico Beppe Niccolai si incaricò di mettere a tacere i malumori: «Abbiamo in comune la critica radicale alla società dei consumi, ci piace del demoniaco e angelico Pasolini l’interpretazione che dà del nostro tempo, come pure l’esaltazione della povertà, soprattutto della povertà contadina... inoltre Pasolini comprese anche, prima di tutti gli altri, che destra e sinistra sono definizioni che non hanno più alcun significato e che bisogna oltrepassare». E Massimo Fini sul Giorno se la prese con la sinistra che, allora come oggi, riteneva dissacrante che i fascisti parlassero di Pasolini: i missini – affermava – erano stati capaci di discutere le grandi tematiche di Pasolini mentre la sinistra le ha abbandonate».
A cominciare dalla denuncia nei confronti della sinistra che aveva tagliato i ponti con la cultura popolare. Torniamo all’oggi. Dice: ma Ignazio La Russa ha in casa il busto del Duce e come può parlare di Pasolini? Scandalo. Ma la Russa è stato testimone diretto delle polemiche culturali che hanno attraversato la destra italiana e più di altri, meglio di altri, ne può dare obiettiva testimonianza. Questo non certo per promuovere appropriazioni indebite, ma per accendere i riflettori su aspetti che altrimenti nella sciatta saga del Pasolini antifascista che i divulgatori che si improvvisano storici hanno apparecchiato resterebbero oscurati. Tutto qua. Tenetevi pure il Pasolini che più vi aggrada, pensate pure come Enzo Siciliano che se quelli di destra parlano di Pasolini prima devono «studiare alla moviola un film come Salò e fare abiura» (eravamo nel 1988, quasi 40 anni fa, ma non sono mica cambiati gli inquisitori di sinistra...) ma lasciate liberi gli altri Pasolini. Non meno interessanti. Non meno profondi.