“Il canal. Chi gà sciugà il canal?”. Anzi chi lo ha colorato di verde. In un’azione politica a metà strada tra la pubblicità di un deumidificatore della De’Longhi e la vernice di Graziano Cecchini, nel 2007 colorò di rosso l’acqua della fontana di Trevi, a Venezia compare lei. Lei nostra signora degli eco-manifestanti Greta Thunberg. Ha lasciato gli impermeabili gialli sciogliendo le trecce per correre da un capo all’altro del globo. Il clima, intanto, ha cancellato le mezze stagioni e l’unica stagione riconosciuta è quella della protesta. Quindi riavvolgiamo il nastro e andiamo a sabato scorso. È il 22 novembre e la mattina corre placida. A un certo punto il Canal Grande di Venezia inizia, all’altezza di Rialto, a cambiare colore. Verde. Opera della Thunberg e dei suoi 36 apostoli di Extinction Rebellion, ribelli a favore di telecamera. Quindi la procura del capoluogo veneto ha aperto un’indagine nei confronti dei 37. L’accusa? Manifestazione non autorizzata.
La ricostruzione dei fatti evidenzia come alcuni attivisti siano saliti, verso mezzogiorno, su un vaporetto versando alcune taniche di fluoresceina nelle acque del canale veneziano. Nel mentre, sul ponte di Rialto, altri manifestanti compresa la nostra eroina hanno srotolato uno striscione con inciso: “Fermate l’ecocidio”. Inoltre una quindicina di persone di rosso vestite hanno attraversato a piedi il ponte. Una performance a pois per i colorati paladini della climatologia. Ma non finisce qui perché tutta questa messa in scena è stata architettata in concomitanza con la chiusura della Cop30 del 2025 - la conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici tenutasi in Brasile- e ha visto, oltre Venezia, una serie di azioni coordinate in undici città italiane. Gli attivisti identificati hanno visto la dura mano della legge abbattersi su di loro. Quasi diciamo. Daspo urbano di 48 ore, già scaduto, e una sanzione amministrativa da 150 euro. Più di un quotidiano sottolinea come la fluoresceina non sia tossica, crediamo che il verde di Parigi non fosse tra le opzioni di Greta e i suoi fratelli, ma soprattutto che nessuno ha intralciato il servizio pubblico. Liberi tutti. Non sia mai che qualcuno si accanisca contro questi alfieri dell’antifascismo climatico. Ora la palla passa al pubblico ministero Stefano Strino che ha il fascicolo del caso sulla sua scrivania.
La Thunberg ossessione per il clima è l’ennesimo filone trascinato della storia dell’Occidente degli ultimi decenni. Una lunga scia dove l’importante è colpevolizzare gli europei e la propria storia. L’idea, di fondo, è quella che le disgrazie partano da qui e colpiscano tutto il mondo. Ecco il colorante più nocivo di Greta. Intanto il tour non arresta la sua marcia. È stata a Firenze per presentare il documentario The cost of Growth e per partecipare, ieri sera dopo il flash mob Urlo per Gaza del collettivo Gkn, all’assemblea dal titolo Genocidio, riarmo, catastrofe climatica. Una garanzia, chiaro. Il 28 novembre, con l’ennesimo sciopero nazionale, a Genova ci sarà il corteo organizzato da Usb dove è previsto un nubifragio di progressisti. Francesca Albanese, Thiago Avila, Moni Ovadia, Vinicio Capossela, Yanis Varoufakis e rullo di tamburo: Greta Thunberg. Manifestazione di terra, con ritrovo a Genova Brignole, e poi manifestazione di mare. Manca quella dell’aria, ma bisogna accontentarsi. Il tutto davanti al tema dell’ecologismo, cardine da sempre del mondo identitario, scivolato nella guerra delle parole tra le fila di chi vuole portare queste pratiche sul binario morto del blocco totale. Sul binario del pianeta che deve fermarsi per farci scendere, ma qui non esiste nessun colorante per coprire i bluff di questi diseredati del clima.