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Dai giornali alla Juve: Elkann è nel pallone e prova a salvarsi con un video in tuta

di Tommaso Lorenzini domenica 14 dicembre 2025

4' di lettura

Il tempo per ritrovare il sorriso c’è, ma l’avvicinamento alle feste di John Elkann non ha il sapore dei dolcetti pescati dentro a un calendario dell’Avvento. A Torino, Natale e serenità quest’anno sembrano esser salite su utilitarie diverse ed è riduttivo circoscrivere quanto sta accadendo a un “semplice” terremoto mediatico. Tutto si è complicato quando l’elefante nella cristalleria ha preso le fattezze di un pallone da calcio. Arrigo Sacchi lo aveva sentenziato a suo tempo con una decina di parole che non necessitano di ulteriori chiose: «Il calcio è la cosa più importante delle cose meno importanti».

E infatti, dalla confusione molto per addetti ai lavori scatenata dalla potenziale cessione dei giornali del gruppo Gedi, Elkann si è trovato suo malgrado sulla graticola nazionale solo quando in campo si è palesata la potenziale vendita della Juventus. Niente di più pop esiste nel nostro Paese, nessun argomento viene masticato (sic) meglio dagli italiani, niente di sorprendente c’è nell’interesse quasi morboso esploso. Elkann lo ha compreso e questo spiega la reazione (inattesa) a tempo zero avuta dopo la pubblicazione dell’offerta vincolante e non concordata per l’acquisto del club da parte di Tether Investments, un gigante delle criptovalute già socio di minoranza della società bianconera con l’11,5%.

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L’offerta, che secondo le indiscrezioni avrebbe comportato un impegno finanziario consistente per il rafforzamento del club, ha innescato una duplice reazione netta da parte di un Elkann di solito restio a comparire sull’agone mediatico. Prima ha fatto uscire un comunicato ufficiale del cda di Exor, per rassicurare l’ambiente e smentire categoricamente e «all’unanimità» le voci di vendita. Poi, addirittura, ci ha messo la faccia, comparendo in un breve video (che è piaciuto pochissimo) con felpa da tifoso: «La Juventus, la nostra storia, i nostri valori non sono in vendita». Ribadendo l’impegno della famiglia a sostenere la squadra e a costruire un futuro vincente.

È bastato a rimettere il pubblico a sedere? Per niente. Sebbene Exor abbia garantito il supporto finanziario necessario (meno di un mese fa ecco l’ennesimo aumento di capitale, 97,8 milioni iniettati nelle casse del club: è il quarto intervento dal 2019, per un totale di 998 milioni di euro...), chi segue la Juve da vicino non fa mistero che si fatichi a percepire un vero coinvolgimento emotivo della proprietà nella squadra. E dunque che si tratti solo di un epilogo rimandato. Se per l’Avvocato la Juve era la prima cosa a cui pensare appena sveglio (la mattina alle 6 telefonava a tutti per parlare di calcio: giornalisti, giocatori, allenatori) oggi la Signora appare l’ultima della fila, anello sbiadito di una catena di dismissioni che sta trasformando l’impero Agnelli da un simbolo di made in Italy tout court a un “portafoglio” da amministrare, dove simboli e società sono intercambiabili.

Tutto legittimo, business is business, ma l’elenco fa pensare. Attraverso la holding Exor, e altre società del gruppo, sono state vendute diverse aziende storiche, tra cui Magneti Marelli (2019), Teksid (2019), la quota in Cushman & Wakefield (2015), PartnerRe, Banijay, e più recentemente la divisione veicoli commerciali di Iveco a Tata Motors e Leonardo (estate 2025), e il controllo di Comau ceduto a One Equity Partners (2024). Ora sul tavolo rimbalza la Juve... Parallelamente (analogamente) alle vicende sportive, Elkann si trova a navigare nella tempesta per le aspre polemiche relative all’uscita del gruppo Exor dal settore editoriale italiano, culminato con la trattativa in corso per cedere il gruppo Gedi (quindi testate storiche come La Stampa e la Repubblica) all’imprenditore greco Thodoris Kyriakou, presidente del gruppo Antenna.

Ecco, quello che Elkann non aveva calcolato era finire nel pallone, nel tritacarne mediatico per la gestione di quegli affari che la consuetudine vuole accadere ben lontana dai riflettori e dal pettegolezzo. L’ipotesi di cessione delle due testate-megafono della sinistra si sono concretizzate in proteste e scioperi, proprio da quella parte politica che per puro opportunismo non aveva mai messo John nel mirino. Le redazioni de La Stampa e la Repubblica sono piombate indietro di 50 anni, in stato di agitazione e assemblee permanenti per manifestare la loro opposizione e preoccupazione per il futuro delle testate e la tutela dei posti di lavoro.
La politica ha poi toccato vette di schizofrenia. Il Pd ha perfino chiesto l’intervento del governo per bloccare tutto, per salvare un «patrimonio civile» del Paese. Elly Schlein non ha fatto mancare la considerazione da assemblea studentesca: «Si rischia di smantellare un presidio di democrazia». L’ha toccata piano il deputato di Avs, Marco Grimaldi: «Se davvero crede in qualche valore, Elkann dovrebbe chiedere scusa ai giornalisti de La Stampa e a tutti i 1300 giornalisti e addetti che lavorano per il Gruppo Gedi». Insomma l’operazione trasparenza non ha funzionato per niente.

E se la partita sui quotidiano al momento pare “all’intervallo”, la piazza chiede a Elkann, ponendolo nella duplice, scomodissima posizione di assediato da una parte (per fare chiarezza o al limite andarsene senza fare danni) e di invocato dall’altra (non scordare il legame affettivo che lega la Famiglia al club) Sullo sfondo, acquistano grande attualità le voci di un ritorno sulla scena di Andrea Agnelli, il cugino defenestrato proprio da Jaki che aveva riportato la Juventus all’età dell’oro. Andrea non ha la forza economica per riprendersi da solo la Signora (e relativi debiti, circa 280 milioni) ma immaginarlo alla testa di una cordata di soci (come Tether?) per rilevare club non è peregrino. E sarebbe anche la soluzione (graditissima al popolo bianconero) che toglierebbe le castagne dal fuoco a Elkann. Orgoglio permettendo...

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