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Brambilla, stangata sulle pensioni: "Schiaffo a chi ha lavorato una vita"

di Michele Zaccardi mercoledì 4 gennaio 2023

3' di lettura

Il taglio più pesante agli assegni lo fece Mario Monti nel 2012. Ma da allora ogni governo, nessuno escluso, è intervenuto per limare l'indicizzazione delle pensioni. Nell'ultima legge di bilancio anche l'esecutivo guidato da Giorgia Meloni ha cambiato il meccanismo di rivalutazione, penalizzando i pensionati che ricevono un trattamento superiore a quattro volte il minimo. Per Alberto Brambilla, presidente del centro studi Itinerari Previdenziali, il provvedimento è «una stangata al merito».

Come cambia il meccanismo di indicizzazione delle pensioni?
«Il governo Draghi, dopo circa vent'anni, aveva ripreso la regola fondamentale del sistema pensionistico italiano che prevede la rivalutazione piena al 100% per gli assegni fino a quattro volte il minimo, poi del 90% tra quattro e cinque volte e del 75% per la quota eccedente. Il governo Meloni ha cambiato la rivalutazione, che rimane piena solo per gli assegni inferiori a quattro volte il minimo per poi scendere al 35% per chi riceve oltre dieci volte il trattamento minimo. Mentre viene fissata al 120% solo per le pensioni sociali o assistenziali. Il problema è che la rivalutazione viene calcolata sull'intero importo, e non sullo scaglione. Credo che ci siano forti profili di incostituzionalità: gran parte di queste pensioni sono contributive e il sistema contributivo prevede una rivalutazione pari al 100% del tasso di inflazione».

È una misura regressiva per i pensionati più abbienti?
«La rivalutazione prevista dalla legge di bilancio rappresenta una punizione severa per i pensionati che hanno più di quattro volte il trattamento minimo. È inoltre uno schiaffo al merito perché, invece di premiare chi ha meritato la pensione che riceve, si premia chi in 67 anni di vita non è riuscito a pagare nemmeno quindici annidi contributi».

Quanto rischiano di perdere i pensionati?
«Ipotizzando un'inflazione al 10%, chi riceve un assegno pari a 8 volte il minimo, ovvero 4.200 euro lordi, prenderà a titolo di rivalutazione il 2,92%. Con un'inflazione del 2%, questi pensionati nei prossimi dieci anni perderanno tra i 13mila euro e i 115 mila euro. Tra l'altro tutto questo a favore dei pensionati sociali: in Italia ci sono quasi 900mila persone che in 67 anni di vita sono stati totalmente sconosciuti all'Inps e al fisco a cui si vorrebbe dare 600 euro al mese. Inoltre, se la pensione è maturata con i contributi viene tassata, invece i 600 euro erogati gratis dallo Stato non lo sono. Quindi ad esempio un artigiano che ha sempre versato i contributi si ritrova 800 euro netti, mentre chi non ha mai pagato le tasse 600. In questo modo stiamo favorendo 4,5 milioni di pensionati che non hanno mai pagato le tasse, quasi il 30% dei 16 milioni di pensionati totali: sono stati mantenuti prima e vengono mantenuti anche adesso».

Nel 2012 Monti azzerò la rivalutazione degli assegni superiori a quattro volte il minimo. Da allora ogni governo è intervenuto sull'indicizzazione per fare cassa. L'esecutivo guidato da Conte nel 2018 addirittura per finanziare il reddito di cittadinanza. C'è un problema di certezza del diritto in Italia?
«Assolutamente sì, anche per questo abbiamo maggiore nero. Noi abbiamo il record in Europa di evasione delle imposte dirette e da quest'anno anche di quelle indirette. Non troviamo operai anche perché chi prende il reddito di cittadinanza preferisce farsi assumere in nero per ricevere bonus e sussidi vari. In questo modo non si premia il merito ma soltanto chi non fa nulla. Senza contare che il deficit dell'Inps è dovuto interamente alle prestazioni sociali». 

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