Pubblichiamo un articolo che Vittorio Feltri ha scritto negli anni Ottanta sulle soste in autogrill tra code interminabili e toilette sporche. Uno spaccato del Paese che, da allora, non è affatto cambiato.
Il lettore stia tranquillo. Non ho intenzione di parlare di vacanze intelligenti, né di partenze astute o rientri tonti, il problema, stavolta, è serio: riguarda la «sosta gradita». Avete mai letto queste gentili parole sui cartelli piazzati davanti ai cosiddetti autogrill? Personalmente, non ci avevo mai badato, finché lunedì, al “Pavesini” di Fiorenzuola, sull'Autosole, me le hanno fatte notare. Osservo: non è una cattiva idea accogliere il viaggiatore con un cenno cortese, fa piacere un po' d'ospitalità dopo chilometri di coda esasperante e un'afa assassina. E nel locale entro pieno di ottimismo come quelli che, al sabato, vanno a cena con gli architetti.
Sorpresa. Le casse sono due, ma ne funziona soltanto una: la fila è più lunga che sul tratto Rimini-Bologna, pazienza. Conquistato lo scontrino, operazione che mi è costata un paio di contusioni e una costola incrinata, mi precipito al banco di mescita dove «la sosta gradita» si protrae per un quarto d'ora, il braccio teso a sventolare il tagliandino nel tentativo di attirare l'attenzione del cameriere. Aspettando, mi guardo in giro, il ripiano del bar cosparso di macchie variopinte: gocce di birra, latte, cappuccino, coca cola. Qualche sbadato vi appoggia i gomiti e li ritrae grondanti e appiccicaticci, giacché sulla piastra di acciaio è sparpagliato anche dello zucchero. Finalmente, il barman si accorge che esisto. Esamina lo scontrino, mi fissa sospettoso come se gli avessi rifilato una banconota falsa, e con una smorfia di tipo interrogativo mi fa intendere che non capisce cosa voglio. Poiché sul cartoncino è stampigliato il prezzo - 750 lire - e dato che sui listini dell'esercizio non c'è che il caffè abbordabile con quella cifra, avevo ritenuto superfluo specificare la bevanda cui aspiravo. Niente da fare, l'uomo in giacca bianca pretende una dichiarazione.
LA RICHIESTA
Lo accontento: «un espresso, per favore». E nel rendermi simpatico allungo duecento lire di mancia che egli afferra con un disgusto e sbatte nel piattino. Naturalmente, non ringrazia, ma brontola: «Poteva dirmelo subito che ordinava un caffè». Mi piacerebbe insultarlo, ma – e mi fa rabbia ricordarlo – non riesco che a pronunciare un fantoziano: «Mi scusi». Arriva la tazzina da cui parte uno schizzo che “paro” con la manica della giacca. In fondo alla chicchera c'è del liquido scuro. Assaggio: non è caffè, ma risciacquatura di scodelline. Con l'aggravante che è fredda. Sconsolato, batto in ritirata, il pavimento è una discarica: mozziconi, cartacce, bicchieri di plastica calpestati. Di già che son qui faccio un salto alla toilette dove la scena è da incubo. Viavai di gente, scrosci, aria greve. Persino le Usl generalmente appaiono più accoglienti di questi gabinetti. Una signora con l'espressione afflitta è seduta a un tavolino e veglia un vassoio sul quale gli utenti, grati, fanno cadere una pioggerella di spiccioli. Ed è talmente presa da questa occupazione che non trova tempo per disinfettare, pulire, arieggiare. Elargisco anch'io l'obolo e mi avvio all'uscita.
Per guadagnare la porta, sono obbligato – come ogni «gradito» cliente – a percorrere un labirinto di bancarelle su cui troneggiano, tre varie mercanzie, salsicce e mortadelle tagliate a metà affinché mostrino il lato intimo e appetitoso. La folla, attratta dai salumi, si arresta nei pressi dei medesimi, contempla, chiacchera, tocca, alita, sottoponendoli a un trattamento che sotto l'aspetto igienico non mi pare rassicurante. Qualche ardimentoso, acquista. Giuro, in questo racconto non ho esasperato i toni. Semmai ho taciuto su alcuni dettagli meritevoli, come la questione telefono: gli apparecchi erano tre o quattro, ma due guasti, sicché per accedere all'uso della cornetta bisognava fare a pugni. Ma andiamo avanti.
CONTROLLI FANTASMA
Sapete quante pattuglie di polizia ho incontrato da Bologna a Milano? Nemmeno una. Un caso? No, è regolare. Un amico ha guidato, il 22 luglio, per oltre 400 chilometri da Trieste a piazzale Loreto e non ha visto l'ombra di una divisa. Idem un altro mio conoscente, il 29 luglio, da Milano a Ventimiglia. Recentemente, lungo l'itinerario Bergamo, Brescia, Verona, Padova, Ferrara e ritorno non ho potuto ammirare un solo agente. In compenso ogni giorno, alla barriera di Sesto San Giovanni mi imbatto nella Guardia di Finanza. Che fa? Controlla le ricevute della tassa di circolazione. E lunedì, mentre imperversava l'avanguardia del contro esodo, all'uscita Melegnano i carabinieri avevano organizzato un posto di blocco invadendo metà carreggiata. Immaginatevi con quale giovamento per il flusso del traffico.
Tutto questo mentre all'Agip, sulla tangenziale Est (nei pressi di Agrate) quattro gaglioffi adescavano gli avventori del ristoro coinvolgendoli nel gioco delle tre tavolette, attività proibita ma che proprio per questo si svolge, nel citato sito, dodici mesi all'anno: e all'autogrill di Piacenza, un paio di giovanotti erano intenti a smerciare patacche (orologi e accendini simil Cartier).
Un'ultima annotazione va riservata agli esattori del pedaggio autostradale: otto su dieci sono sgarbati, seccatissimi perché li costringi a riscuotere. Non uno che saluti o ringrazi per averti avuto quale cliente. Come mai, invece, fruttivendoli e formaggiai, quando hai saldato il conto – che non è meno salato di quello dell'Iri – si inchinano e si levano il cappello? Fra tanti mugugni, un evviva all'Automobil club. Ieri, a Trezzo d'Adda, ho parcheggiato su una piazzola per leggere il giornale: non ho fatto in tempo ad aprire le pagine, un carro attrezzi mi ha affiancato. Era il meccanico dell'Aci che offriva le sue prestazioni. «Non ne ho bisogno – gli ho detto -, grazie lo stesso«. Ero francamente addolorato per non avere neanche una candela guasta o lo spinterogeno da riparare. Ma era colpa mia? L'uomo se n'è andato scuotendo la testa.