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Alfredo Cospito, il digiuno anche per saltare il militare

di Francesco Specchia venerdì 3 febbraio 2023

3' di lettura

Adesso non esageriamo: ’sta storia dello sciopero della fame comincia a tingersi di romanzesco. Sul digiuno di Alfredo Cospito contro il 41-bis si sta costruendo un’inconsueta mitologia romantica che spazia da Gandhi all’indipendentista sardo Salvatore Meloni, dalle suffragette inglesi a Bobby Sands «militante dell’Irish Repubblican Army, morto il 5 maggio 1981 nel carcere nordirlandese di Long Kesh dopo 66 giorni di digiuno praticato, tra l’altro, contro le direttive dell’autorità inglese» (scrive Avvenire, mica Il Manifesto). Qualcuno, arditamente, tra i modelli di Cospito tenta di infilarci lo stomaco introflesso di Marco Pannella, se non l’avessero fregato tutti quei cappuccini. Eppure, mentre infuria la polemica sull’anarchico che rifiuta di nutrirsi finché non gli passa il carcere duro, ecco che si scopre che Cospito, in realtà, ha dei precedenti.

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SANTI PRINCIPI

Alla faccia della questione di principio, sull’uso del digiuno come arma impropria l’uomo è recidivo. Un documento proveniente dal Tribunale di Roma datato 22 luglio 1992 rivela infatti che Cospito Alfredo, accusato del reato di diserzione aggravata (dall’obbligo di leva miliatre), in «pervicace inosservanza della legge» incappò nella amnistia che gli ridusse gran parte della pena; ma poi, condannato ancora per lo stesso reato dal Tribunale militare di Roma a un anno, nove mesi e dieci giorni di reclusione, egli sviluppò una strategia vincente. «Dallo stesso giorno della esecuzione dell’ordine di carcerazione (27 agosto 1991) il detenuto, per protesta contro la nuova condanna e per ottenere la liberazione, rifiutava di alimentarsi, determinato a proseguire il digiuno ad oltranza.

Il 27 settembre 1991, quando la situazione organica e psichica del detenuto era di estremo disagio, il padre del Cospito presentava domanda di grazia» scrive il giudice dell’udienza preliminare e «il 30 settembre il tribunale militare di sorveglianza disponeva il differimento della esecuzione della pena in attesa della decisione sulla domanda di grazia». Cospito sfruttò un vuoto nell’interpretazione delle norme: fece mettere in discussione il cosiddetto «effetto vessatorio della spirale delle condanne» accumulate, «non conforme alle regola della ragionevole proporzionalità e della limitazione di un diritto inviolabile dell’uomo». Cioè, di fatto aveva accumulato talmente tante e reiterate accuse di totale renitenza alla leva che, onde evitare l’accumulo di condanne gliene appiopparono una sola. Il tema è complicato. Ma qui non è tanto importante l’aspetto tecnico, quanto che il Quirinale- regnante Cossiga Presidente della Repubblica- «con decreto in data 27 dicembre 1991 concedeva al Cospito il condono in via di grazia della pena detentiva ancora da espiare». Cospito la sfangò. E ci prese gusto, minacciando un opportuno digiuno a seconda del configurarsi di circostanza d’allarme penalmente rilevante.

In soldoni, trattasi di una dieta a zona; nel senso che il criminale evidentemente riteneva di digiunare platealmente a seconda delle zone geografiche in cui diffondeva il verbo dell’anarchia. «È prevedibile che il Cospito porrebbe in essere altri “digiuni” e sarebbero adottati, nei suoi confronti, altri provvedimenti di grazia», scriveva il Gup, con una certa rassegnazione. Basta mostrare la voce grossa e l’intestino stretto, e nulla rosulta impossibile. Un digiuno intremittente, e passa la paura. Una spregiudicatezza tattica quasi fascinosa. Solo che oggi la narrazione sullo sciopero della fame sta flettendo sull’eroismo alla Bakunin. Addirittura l’agenza Agi pubblica un’intervista a Sergio Segio che venne trasferito dopo dieci giorni di digiuno dal carcere di Torino, dove scontava una condanna a 29 anni, all'ospedale Molinette.

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RISPOSTA SCONTATA

Sergio protestava contro la decisione del magistrato di Sorveglianza di non concedergli il permesso di lavoro esterno perché aveva espiato troppa poca pena. Il tono dell’intervista è quasi ammirato, quasi ci si dimenticasse che Segio è stato ex terrorista e leader di Prima Linea. La realtà è che, su questo, ha ragione Marco Travaglio a Otto e mezzo su La7: «C’è un uomo che mette in gioco la sua vita per contestare una legge dello Stato, il 41-bis. Non per farlo togliere a se stesso, ma per abolirlo e farlo levare a tutti, cosa che rende credibile il fatto che in carcere lo festeggiassero anche i mafiosi che stanno al 41-bis. E se Messina Denaro, sciopera contro il 41-bis, dobbiamo accontentarlo?». Risposta scontata... 

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