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Milano, la mia settimana da incubo nella città di Beppe Sala

di Caterina Spinelli sabato 18 marzo 2023

3' di lettura

La sinistra di Beppe Sala difende le donne, ma non la loro sicurezza. In una Milano alla mercé di vandali, criminali e stranieri, il Pd preferisce prendere le difese delle borseggiatrici. Forse perché i compagni non sono avvezzi ai mezzi pubblici. Eppure i comuni mortali i mezzi di trasporto li devono condividere. Ed ecco che la settimana lavorativa si trasforma in un incubo.

Si inizia con il lunedì. Già per antonomasia il giorno peggiore. Alle 20.10 mi lascio alle spalle la redazione e prendo una delle metro più frequentate del capoluogo lombardo: la rossa, in direzione Rho Fiera Milano. Ho una ventina di fermate da fare, quindi mi metto in pace, prendo il libro, leggo… Anzi no, non leggo. Poco più in là, a qualche sedile di distanza, un uomo è in t-shir, pantaloni sbottonati e grida. Il signore, uno straniero dall’età quasi indecifrabile, è visibilmente ubriaco e al telefono si dimena, sbraita con qualcuno. La gente intorno a lui si allontana. Io, a debita distanza, raggiungo un compromesso: lo controllo, se si muove scendo alla prima fermata, se rimane lì posso sperare di arrivare a casa in orario per cena. E tiro un sospiro di sollievo. Questa volta mi è andata bene.

Sarà così anche martedì? La mia giornata inizia sempre nella stessa maniera. Alle 11 prendo la metro. Due individui attirano la mia attenzione. Non che abbiano qualcosa di strano, per carità, però in qualche maniera quei giovani non mi piacciono. Si guardano intorno, parlottano. Penso di essere paranoica e invece non mi sbaglio. Pochi minuti dopo sento urlare: “Aiuto, al ladro. Mi hanno rubato il telefono”. Sono proprio quei due che avevo adocchiato qualche minuto prima. Scappano. Se la danno a gambe levate. Dietro una ragazzina. Rimango ferma qualche istante, pochi secondi per pensare se correre dietro ai ladri. Ma no, ci ripenso, la mia vita non vale un cellulare.

Mercoledì. Esco dal lavoro alle 22.00 e come di consueto per i giorni di “chiusura” mi porto dietro il taser. 2,8 milioni di volt c’è scritto sulla confezione che mio marito ha ben pensato di regalarmi. Nulla di legale, ovvio, ma poco importa. E infatti faccio bene. Tra chi chiede l’elemosina insistentemente e chi si lascia andare a battutine volgari, la paura è tanta.

Giovedì. Finalmente sono a casa. È il mio giorno di riposo. Ne approfitto per uscire con le amiche. Una cena, niente di più. Per l’occasione prendo la macchina, la parcheggio in zona Portello. Sì, quella zona ormai vip e nella quale pensi di essere al sicuro. Invece no. A Milano il pericolo è dietro l’angolo. Parcheggio la macchina, scendo, ed ecco che a momenti mi viene un infarto: un signore si fa avanti. “Non mettere la macchina qua. C’è uno che passa e che distrugge tutti i vetri delle auto. A volte si fa anche quelli dei negozi. Non se ne può più”. Via, cambia ancora.

Venerdì e sabato. Ancora una volta mi tocca la metro. Cosa mi può succedere di più? Mi domando. Ebbene, proprio in Porta Venezia, davanti all’ingresso per accedere ai mezzi di trasporto giace un signore. Un giovane straniero munito di bottiglia di vino. Beve. Fin lì, faccia quello che vuole. Poco dopo però i passanti preferiscono attraversare. Il motivo? Pronuncia a gran voce frasi intraducibili, prende la bottiglia e la spacca per terra. Rieccoci, faccio passare un giorno. Ma sabato la storia si ripete. Questa volta l’ansia aumenta. L’uomo gesticola, è palese: se la prende con chi si azzarda a entrare nel sottopassaggio. E allora pesco dalla borsa il cellulare, digito la mail della Polizia locale e invio una segnalazione.

Domenica. Meglio lasciarsi tutto alle spalle con una bella passeggiata in Chinatown. Parcheggio in zona Monumentale? No, eviterei. Lì è risaputo, tentano sempre di forzare le auto.

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