Molte sono le madri surrogate deluse da un’esperienza spesso foriera di dolore e problemi di salute. Numerose testimonianze emergono dal documentario “Breeders: donne di seconda categoria?”, diffuso in Italia dall’associazione Pro Vita e Famiglia e visibile anche su youtube. Heather, ad esempio, racconta di aver deciso di «affittare» il proprio corpo perché a 20 anni aveva già tre figli da mantenere. L’idea di farsi pagare 20mila dollari restando a casa incinta per conto di altri le pareva «la soluzione ideale».
Ma dopo una prima esperienza, con la nascita di due gemelle, arrivarono prove terribili: «M’impiantarono due embrioni e rimasi incinta di una bimba. Durante un’ecografia, il dottore riscontrò nella bimba un intestino ecogeno e altri sintomi della sindrome di Down. La madre biologica s’alzò dalla sedia e mi lasciò nello studio da sola. Ero affranta».
La bambina nacque e Heather accettò una nuova “surroga”, ma perse il feto all’ottava settimana. Nuova gravidanza su commissione e nuovo dramma. Le impiantarono due embrioni, ma uno dei gemelli morì in grembo, per l’altro un verdetto: «All’ecografia il bambino risultò avere schizencefalia, in pratica gli mancava un pezzo di cervello. La mamma genetica s’alzò e se ne andò via, ero distrutta. Ero infuriata per come s’era comportata quella donna lasciandomi lì da sola a provare emozioni e sensazioni che non avrebbero dovuto essere mie. La coppia chiese di abortire, ma il corpo era mio, dovevo decidere io. Uno specialista mi disse che il bambino avrebbe potuto camminare e parlare e la portai a termine. Alla fine la coppia tenne il bambino».
POLLI IN BATTERIA - L’importanza del documentario è così prospettata da Jacopo Coghe, portavoce di Pro Vita e Famiglia: «È una mercificazione, ci sono listini, cataloghi. Non si bada né ai diritti delle donne, né a quelli del bambino, che viene considerato un oggetto e non un soggetto. Il documentario dà voce a donne statunitensi, ma in Paesi come l’India è anche peggio, ci sono gestanti segregate come polli in batteria. Non si considera che c’è un legame profondo fra il bambino e la donna che lo porta in grembo. La separazione crea traumi ancora da monitorare».
È con l’afflizione del denaro che molte donne americane affrontano una gravidanza surrogata. Jennifer Lahl, presidente del Center Bioethics and Culture spiega: «Negli Usa molte delle donne che si prestano all’utero in affitto sono mogli di militari, perché rispondono a certi requisiti. Le candidate alla surrogazione devono aver già avuto figli, perché devono dimostrare di poter condurre una gravidanza. Le mogli dei militari in genere si sposano presto, hanno spesso bambini e il loro reddito è piuttosto basso. Le mogli dei militari, uomini che spesso sono all’estero in missione, hanno la possibilità di guadagnare 20 o 30mila dollari con una maternità surrogata».
E l’avvocato Monnalisa Wallace, della National Organization for Women, ricorda i pericoli: «In queste specie di fabbriche di bambini vengono impiantati dai 4 ai 5 embrioni per volta. Ma le donne con gravidanze multiple hanno un tasso più alto di morte per parto».
Ha rischiato grosso Gail, 40 anni, prestatasi a partorire due gemelli per il fratello gay Sean e per il suo compagno: «Una volta rimasta incinta, io e mio fratello cominciammo a non andar più d’accordo. Un mese dopo il test di gravidanza, relazionarmi con lui divenne un incubo. Mi diceva “sei grassa, sei pigra”. Non ne potei più e me ne andai. Mentre entravo in macchina mi disse: “Che facciamo coi bambini?”. E gli dissi: “È già tanto se riesco a farli nascere, con tutto lo stress che mi stai provocando”. E lui: “Va bene, vattene chiederò a qualche altra stupida femmina di partorire i mie figli”. Sean poi mi chiamò chiedendomi di abortire. Ero stanchissima, aumentai di peso e a un certo punto vedevo male. Uscii in strada e urlai chiedendo aiuto. Qualcuno chiamò l’ambulanza, e svenni. Mi svegliai la sera dopo, i bimbi erano nati prematuri con cesareo. I medici mi dissero che ero arrivata in ospedale pochi minuti prima della morte, ero già in coma».
Tante le storie. Cindy fu ingannata dal compagno Marvin, che la convinse a farsi impiantare un embrione e a partorire un figlio poi dato per soldi a una coppia gay. Tanya si pentì rendendosi conto di quanto la bambina nel suo grembo fosse sua: «Era stata nella mia pancia 9 mesi e i primi 5 giorni dopo la nascita la tenni in braccio. La rividi solo quando aveva 2 mesi. Mi dissero che era stata una bambina problematica, ma appena la rividi e la presi in braccio s’addormentò subito». Il legame speciale con chi ti ha partorito lo conferma Jessica, una figlia di madre surrogata che a 26 anni è riuscita a conoscerla: «Io, come prodotto della surrogazione, sono consapevole d’essere stata comprata dalla famiglia nella quale sei cresciuta, sei una merce».