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Elly Schlein, la non leader dei progressisti

di Giovanni Sallusti lunedì 27 marzo 2023

2' di lettura

Hai visto quanto è brava Elly? Ha il carisma di Berlinguer e la modernità di Obama, perdipiù è donna, perdipiù non è etero. Non me lo dire, sono in estasi da quando ha vinto le primarie (insomma, quella roba lì), e passami una tartina al caviale. Sono i dialoghi, tra Tom Wolfe e Sorrentino, che monopolizzano le terrazze chic romane e milanesi, ed essendo queste l’ultimo pubblico residuo per cui vengono stampati i giornaloni, la grancassa mediatica segue a ruota. Elly supera correnti e capibastone, Elly e la fantasia al potere, Elly ci fa uscire dal Novecento (non è vero, ma se lo fosse ci vorremmo subito rientrare), addirittura Elly grazie a cui “ruota l’asse cartesiano della realtà” (l’ha scritto davvero Concita De Gregorio, non sappiamo se al termine di una maratona etilica).


Questa la Elly di carta e via etere, la Elly punto di caduta degli editoriali e madrina assente dei talk show (andarci implica comunque un minimo di contradditorio). Poi, nella realtà, almeno quella con il consueto asse cartesiano e le vecchie, reazionarie leggi dello spazio-tempo, manca qualcosa, un dettaglio, forse non così lieve. Manca una segretaria, non formalmente (quella l’hanno eletta grillini ed estremisti di sinistra votando contro il Pd alle consultazioni del Pd), manca una segretaria nella sostanza. Una, per dire, che svisceri in una conferenza stampa vera, magari con domande e financo con domande sgradite, la linea politica del partito. Una che magari anzitutto ce l’abbia, una linea, intendiamo una visione complessiva della società che vada oltre il flirt con gli ecoteppisti e la sponda all’utero in affitto, peraltro due posizionamenti di Elly che sono già andati in cortocircuito frontale con l’area moderata e riformista. Senza la quale peraltro non esiste alcuna possibilità di governo, esiste solo il cazzeggio in piazza o al massimo al pianoforte di Cattelan sulle note distopiche di “Imagine”.

Si pone il problema, Elly, ha introiettato che l’elezione rocambolesca alla guida del secondo partito italiano implica quella pratica noiosa, forse novecentesca, sicuramente pre-digitale che si chiama politica? E quindi anzitutto la costruzione di un rapporto con la minoranza, che è maggioranza negli organi del partito, riunita attorno a Bonaccini? Ha chiaro Elly che da ieri il suo alfabeto dovrebbe essere quello della mediazione, il suo mantra quello del risultato (creare al governo problemi di politica, non di tendenza Twitter), il suo imperativo quello di fare la sintesi tra le varie anime perdute dem, non la capocurva di una di esse? A giudicare dalla cronaca no: dopo un paio di settimane di segreteria-Schlein, il Pd rischia seriamente di andare in pezzi sulle nomine dei nuovi capigruppo parlamentari. Addirittura, c’è già un ultimatum del presidente sconfitto (?) alla segretaria vittoriosa (?). Poi per carità, sulle terrazze romane e milanesi va tutto bene. 

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