Tanto per cambiare, anche giovedì scorso la puntata di Piazza Pulita era in buona parte dedicata all’allarme fascismo. Pietra dello scandalo, messaggini telefonici in cui simpatizzanti del vicesindaco leghista di Ferrara insultano vergognosamente Liliana Segre e si lasciano andare a frasi nostalgiche nei confronti del regime mussoliniano. Il teorema accusatorio era chiaro: se gli amici del vicensindaco sono fascisti, allora lo sono anche il vice sindaco, il sindaco, Salvini e la Meloni, che infatti non si dichiara antifascista. Vanamente, il ferrarese Vittorio Sgarbi, collegato, ha contestato al conduttore, Corrado Formigli, di rovistare nel pattume, e ha ricordato che il sindaco, Alan Fabbri, è stato il primo tra i suoi colleghi a dare la cittadinanza onoraria alla Segre e ha nominato Moni Ovadia, non certo una camicia nera, direttore del teatro comunale. «Non ha senso dichiararsi antifascisti oggi» ha sostenuto il grande intellettuale, «perché il fascismo non esiste più». In soccorso della tesi accusatoria è intervenuta allora Simona Colarizi, docente di Storia Contemporanea alla Sapienza di Roma nonché laureata proprio sulle camicie nere, la quale, nel tentativo di fare chiarezza, ha fatto finalmente crollare un soffitto di cristallo.
CAMBI - La professoressa ha sostenuto che ormai il termine fascista ha cambiato significato, non vuol dire più nostalgico del regime bensì persona antidemocratica in generale. Per intendersi, letta con i suoi occhi, anche i super comunisti Stalin e Tito oggi sarebbero fascisti. Forse lo sarebbero anche gli autori delle stragi partigiane che sognavano un’Italia oltre cortina, come la Jugoslavia o la Bulgaria. Colarizi non si è spinta a dire questo, ma il suo spunto è stato illuminante nel chiarire come facciano gli ex comunisti di oggi a dirsi democratici con il pantheon di criminali e assassini che, semplicemente, li hanno scoloriti e messi in una bad company che hanno ribattezzato fascismo 2.0. Quello che però ha detto chiaramente è che oggi, a suo avviso, sono fascisti quelli che si oppongono all’immigrazione illegale o all’introduzione surrettizia dell’utero in affitto in Italia mediante riconoscimento automatico e non per sentenza della doppia paternità degli esponenti di una coppia gay ricorsa alla gestazione per altri. In buona sostanza, Colarizi ci ha detto che i progressisti più spinti, quelli per intendersi che hanno votato Schlein e punito Bonaccini, colpevole di aver riconosciuto che la Meloni è brava, ritengono fascisti non solo quelli che vanno a Predappio o fanno il saluto romano bensì tutti coloro che non la pensano come loro e ancora si ostinano a mettere delle regole sociali, anziché lasciare che il mondo vada da sé. Stiamo parlando di quella “miopia dell’élite progressista” denunciata ieri sulle colonne della Stampa dal politilogo Giovanni Orsina che denunciava la “strutturale intolleranza di certa sinistra” verso il diverso, arrivando a definirla “imbarazzante limite morale e culturale”. È la stessa cosa a cui si riferiva Renzo De Felice, che di Colarizzi è stato professore, quando sosteneva che «uno tra i danni più grossi fatti dal fascismo è stato quello di lasciare in eredità una mentalità fascista agli antifascisti e alle generazioni successive».
PREPOTENTI - Senza rendersene conto, la docente della Sapienza, ha spiegato a Formigli, che ne chiedeva retoricamente il motivo, perché la Meloni non si è mai dichiarata ufficialmente antifascista. È la prepotenza politica e culturale di molta sinistra nostrana, che ritenendosi la sola depositaria del giusto, del bene e dei valori democratici, accusa di fascismo chiunque non ne condivida ogni idea, che toglie a chi invece è sinceramente democratico l’orgoglio di dirsi antifascista. Io, per esempio, sono antifascista, ma non lo rivendico a ogni piè sospinto, e soprattutto non lo dico a comando se me lo chiede la sinistra, perché non voglio essere confuso né accostato ai progressisti, che si ritengono i soli antifascisti al mondo e invece sono semplicemente antifascisti alla De Felice. Occhio però a provocare la Meloni, perché il giorno in cui si dicesse antifascista, ed è una data sempre più vicina, infrangerebbe l’ossessione identitaria che è ormai il solo collante che tiene insieme la sinistra.