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Lollobrigida e la "sostituzione etnica"? Filippo Facci: stiamo scomparendo

di Filippo Facci venerdì 21 aprile 2023

4' di lettura

Persino Il Foglio ha ritenuto di dover mostrare il vaccino anti-destre a cui si sottopone di continuo: «Inqualificabile», «sciocchezza colossale», «visione antiscientifica», «discendenza dalle teorie razzistiche», «residuo mal digerito di una cultura sorpassata». Parlava dell’espressione «sostituzione etnica» pronunciata dal ministro dell’Agricoltura. Allora la «sostituzione etnica» proviamo a spiegarla noi, che del ministro c’importa relativamente: è solo che ne scriviamo da anni. Ridefiniamo anzitutto questa «sostituzione etnica» e rifacciamoci a dati appositamente non chiusi (ed esplosivi) nell’attualità di questi mesi, così da definire un trend affidabile: e vediamo che dal 2008 al 2016, per cominciare, mezzo milione di italiani si sono trasferiti all’estero per lavoro, mentre molti più stranieri immigrati (regolari e non) li hanno frattanto sostituiti qui in Italia. Questo e altri dati si apprendono dal rapporto «Il lavoro dove c’è» dell’Osservatorio statistico dei Consulenti del lavoro: gli italiani si sono spostati soprattutto in Germania (20mila nel solo 2015) e Gran Bretagna (19mila) ma anche Francia (oltre 12mila).

A complicare il calcolo, poi, c'è che non sono solo italiani quelli che hanno abbandonato la Penisola: tra il 2008 e il 2016 300mila cittadini dell’Est Europa sono tornati in patria, e questo perchè trasferirsi da noi «non era più giustificato dai redditi da lavoro percepiti». Emblematico. Un altro dato riguarda il numero di immigrati presenti in Italia dal 2008, dato peraltro di non facile computazione: Istat, Eurostat, Ministero dell'Interno, Ismu e altre fonti hanno il loro daffare nel distinguere tra migranti regolari o irregolari, clandestini, rifugiati, richiedenti asilo, profughi, apolidi, sfollati o altre categorie. Però c'è una certezza: costoro sono di più (molti di più) dei 509mila italiani che hanno lasciato il Paese. La sostituzione (etnica o come diavolo volete chiamarla) è tutta qui, anche se non ha un’equivalenza per status lavorativo: le occupazioni degli italiani che vanno all'estero e quelle degli stranieri che vengono in Italia, infatti, sono molto diverse tra loro. In Italia è in atto non solo una sostituzione, ma anche una «proletarizzazione», quella fondata sui famosi mestieri che gli italiani non vogliono più fare, sia legali sia illegali. Insomma: gli occupati stranieri continuano a crescere, e quelli italiani invece decrescono. Un altro dato interessante sarebbe quello della scuola: gli alunni con cittadinanza non italiana sono in crescita e, nel 2021, erano circa il 10,3 per cento (dati Miur) della totalità gli studenti.

IN EUROPA
Se i dati sul nostro Paese non bastassero, ecco quelli europei: già del 2015: attenzione, i morti avevano superato i vivi, ed era la prima volta che succedeva da quando l'Eurostat nel 1961 si incaricò di contare gli uni e gli altri. Nel 2015 sono nate 5,1 milioni di persone e ne sono morte 5,2 milioni, eppure la popolazione europea è complessivamente aumentata, cioè è passata da 508,3 milioni a 510,1 milioni. Che cosa non quadra? Ovvio, gli immigrati. Sono aumentati (circa 2 milioni in un anno) mentre gli europei residenti lentamente sono diminuiti, o, per dirla male, era in atto una sostituzione. Anche i dati europei del 2020 hanno confermato che si è interrotta la crescita della popolazione: l’arresto maggiore è stato proprio in Italia, che ha perso in un anno 405mila abitanti (Rapporto Eurostat) mentre sulla nazionalità degli immigrati mancano dati precisi: in linea di massima rumeni, albanesi e marocchini rappresentano circa complessivamente il 40 per cento degli stranieri presenti e, nonostante il perdurare della crisi, gli occupati stranieri continuano a crescere, diversamente dagli occupati italiani che invece decrescono, come detto.

Si potrebbe rispondere che vabbeh, non siamo più una nazione, siamo parte di un Continente confederato, anzi, il caso europeo sarebbe un esempio quasi perfetto di controllo delle nascite anche perché, paradossalmente, «più morti che vivi» sarebbe una buona notizia in un Pianeta brulicante e bisognoso di sempre nuove risorse, e anche l’apporto degli immigrati – lo dicono tutti, anche le destre, anche il ministro di ieri – dovrebbe comporre una società ideale e meticcia che andasse a impiegarsi nei già citati famosi lavori che gli europei non vogliono più fare. Lo teorizzavano anche i «maestri del pensiero unico europeo» per come li definì Giulio Tremonti in un'intervista a Libero; gli immigrati - era il senso- avrebbero fatto i lavori più umili e oltretutto ci avrebbero indirettamente pagato le pensioni, quasi fossero una sorta di popolo di ricambio.

POCHE NASCITE
A confortare questi dati ci sarebbero quelli pubblicati ieri dal Corriere della Sera: in Italia, negli ultimi 25 anni, l’età media è passata da 38 a 44 anni e ci sono sempre meno giovani in età sia lavorativa sia fertile: la popolazione in età da lavoro (15-64 anni) è diminuita di 756.000 unità in appena 5 anni (dati Adapt) e c’è poco da confidare in un boom delle nascite, perché i lavoratori servirebbero subito. E siccome la domanda di manodopera proveniente dall’estero ha superato di tre volte ogni previsione, come dire: benvenuti, purchè non dica che siano mediamente di etnia caucasica. Non lo sono, anche se sono gli stessi migranti, beninteso, che secondo l’opinione comune dovrebbero salvare le nostre pensioni e la nostra sanità: un aumento della popolazione straniera del 33 per cento – si dice– farebbe anche calare il debito pubblico di 30 punti. Evviva, anche se sono stranieri: si potrà dirlo. Sono stranieri e raramente sono di etnia caucasica.

Inoltre – calcolo un po’ assente da molte rosee previsioni molti immigrati mandano i soldi nel paese d'origine e li sottraggono al ricircolo economico, programmando peraltro di andare a svernare nella terra dei loro natali quando l'età della pensione l'avranno raggiunta loro; alcuni - soprattutto orientali - tengono in piedi autentiche economie parallele che sono impermeabili o quasi alla nazione che li ospita, e soprattutto al fisco. E non stiamo enumerando gli immigrati che producono o produrranno poco o nulla (quindi assistiti, epicentro di un neo-welfare) e neppure un'ultima categoria di immigrati che esiste eccome, e va detto: quella che si muove con l'intento specifico di ingrossare attività criminali: molti europei non vogliono più fare neanche più quelli, di lavori.

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