Matteo Salvini alle 13 e 08 di ieri twitta una frase saracinesca, di quelle che chiudono la partita con un Amen: «Archiviata l’inchiesta sui presunti fondi russi del caso Metropol. Adesso aspettiamo le scuse di tanti, e prepariamo le querele per molti». C’è persino un inusuale profumo di poesia. Un bel ritmo: scuse-di-tanti//querele-per-molti. Nessun bacione stavolta. Si intuisce che il vice-presidente del Consiglio (accidenti, quel “vice” non lo ha ancora digerito, e adesso meno che mai) non ha ancora deciso se essere contento o incazzato. Diremmo che prevale dopo un istante il secondo stato d’animo: furibondo, imbufalito, berciante. Lo capiamo. Il danno subito da lui e dal suo partito non è revocabile. Ha perso la maglia rosa per una accusa di doping inventata, e il giro d’Italia intanto è finito. Il prossimo? Tutti dicono lo abbia già ipotecato Giorgia Meloni. Intanto però sarà il caso di sottolineare la soddisfazione.
Il giudice per le indagini preliminari di Milano ha chiuso con il lucchetto il garage dove i camion della sinistra (ma non solo) da tre anni e mezzo scaricavano all’indirizzo suo e della Lega illazioni calunniose. Diciamo pure merdaccia. Che gli sia stata tirata da mano russa o americana, questo non si sa ancora.
IL TRAPPOLONE - Di certo chiunque abbia ordito il trappolone, ha rovesciato addosso a Salvini dosi massicce sufficienti per ammazzare la reputazione di un cherubino, figuriamoci quella del leader di partito che stava salendo, secondo i sondaggi, al quaranta per cento. Avevano cercato di far fuori lui, il Capitano, i suoi sottufficiali, e di certo seminato sconcerto tra i soldati semplici e i simpatizzanti. Ricordate? Era il luglio del 2019, i sondaggi davano la Lega vicino al quaranta per cento. Ed ecco una agenzia americana, Buzzfeed, diffonde un audio registrato 8-9 mesi prima. L’Espresso era sul posto all’Hotel Metropol. Strane combinazioni, non è obbligatorio credere alle coincidenze, i complotti esistono, come ha sperimentato Giulio Cesare un paio di millenni fa.
Facciamo raccontare i fatti agli insospettabili: cioè i tre pm di Milano che dopo aver fatto sapere tramite Repubblica, non smentita, che stavano per chiudere le indagini sin dall’estate del 2019 (vedi Gian Luca De Feo, 10 agosto: “Le inchieste che spaventano la Lega... sono più vicine alla conclusione”, figuriamoci). L’aggiunto Fabio De Pasquale, capo della troika, ha ottenuto tre volte la dilazione dei termini per l’indagine, poi si è arreso. Passati quasi quattro anni da quell’articolo - con in mezzo la presunta storiaccia delle prove taciute pur di far condannare Paolo Scaroni amministratore delegato dell’Eni - gli elogi scalmanati a De Pasquale che sta per incastrare Salvini, dopo aver fatto condannare Craxi e Berlusconi, risultano grotteschi.
Leggiamo questa prosa davvero da culto della personalità: «...c’è l’affaire di Gianluca Savoini, con la trattativa al Metropol su cui il leader leghista (Salvini, ndr) si rifiuta ostinatamente di rispondere. Il colloquio registrato a Mosca ha fatto aprire un procedimento per corruzione internazionale, condotto dal procuratore aggiunto Fabio De Pasquale il primo a ottenere la condanna definitiva sia di Bettino Craxi che di Silvio Berlusconi - che non interrompe mai il suo lavoro. Le verifiche delle Fiamme Gialle avrebbero già individuato una serie di bonifici “sensibili” sull'asse Mosca-Milano... forse potrebbero venire da lì le risposte che Salvini non ha voluto dare in Parlamento. (Però i pm) non hanno trovato elementi sufficienti per chiedere al Gip di processare i tre leghisti» che avevano incontrato, nel citato albergo moscovita, possibili finanziatori del partito, e già che c’erano di qualche maneggione locale, tramite creste su vendite di petrolio.
Citiamo la (non) accusa trasmessa il 17 gennaio al Gip in cui ammettono la sconfitta. Ma la colpa è nientemeno che dell’Espresso: «La divulgazione a mezzo stampa avvenuta due settimane dopo, in ordine all'esistenza di trattative, condotte da esponenti riconducibili alla Lega, volte a reperire finanziamenti attraverso compravendite petrolifere con la Russia, sortiva l’effetto di interromperne ogni sostanziale sviluppo». Accidenti, nessun reato. Chiacchiere. E Salvini? «Non indagato», scrivono i pm. Che però uno schizzetto glielo tirano in faccia: «Salvini non partecipò alle trattative ma è verosimile sapesse». Ricapitoliamo.
Non c’è nessuno che abbia commesso reato, dunque stiamo parlando del nulla. Ma «è verosimile» fosse a conoscenza di questi non reati. Insomma, non risulta da nessuna parte che i tre leghisti abbiano mai informato Salvini della loro caccia al rublo, ma bisogna trovare il modo di far calare la cappa del sospetto su Salvini.
FASSINO, PRODI, DINI - Oltretutto l’intreccio emerso dalle registrazioni somiglia parecchio alla vendita della fontana di Trevi stavolta ad opera dei russi. E ricorda molto le tangenti per Telekom Serbia che sarebbero state destinate ridicolmente a Grissino, Rospo e Mortadella (Fassino, Dini e Prodi). Una bolla di sapone farlocca presto dissoltasi. Invece qui l’hanno lasciata per aria per tre anni e mezzo onde nuocere alla Lega. Sono stati gli americani a confezionarla perché non si fidavano della Lega causa la avversione di Salvini alle sanzioni contro la Russia per l’invasione della Crimea; o i russi per punire Salvini dato che, alla fin fine, votava sempre (e vota) a favore delle sanzioni? Tranquilli, non si scuserà nessuno. E le querele le insabbieranno.