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Pd, ecco tutti i sindaci che vogliono proibire gli affitti brevi

di Claudia Osmetti martedì 9 maggio 2023

3' di lettura

Non è neanche la prima volta che il sindaco di Milano, Beppe Sala (centrosinistra), parte lancia in resta. La casa, i canoni da capogiro, gli affitti brevi. Ecco, soprattutto gli affitti brevi. Quei contratti uso abitativo che durano al massimo trenta giorni, il tempo di una vacanza: ci stai un mese, è come se fosse il tuo appartamento, e poi saluti. Avanti un altro. Per migliaia di proprietari di casa è una boccata d’ossigeno. Vai a spiegarglielo, a Sala. E mica solo a lui. «C’è una concorrenza che non voglio definire sleale», sbotta il primo cittadino milanese, «ma che fa danno alle città». Così tira fuori, ieri, di nuovo, perché aveva fatto lo stesso manco un mese fa, il “modello Venezia”. Quello che limita i fitti usa-e-getta, che se hai un bilocale libero puoi metterlo sul mercato al massimo quattro o sei mesi. Poi basta. Raus. Niente. Ti rimane lì a fare (letteralmente) la polvere. «Chiediamo», continua Sala, che la stessa misura «venga estesa alle grandi città».

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Punto e basta. O meglio, punto e riparte il coro (quasi tutto intonato dai dem) di amministrazioni locali, giunte e municipi che prospettano, più o meno, lo stesso. Firenze, Verona, Rimini, Bologna. Sull’Arno è il collega Dario Nardella (Pd) che a metà aprile chiama a raccolta i suoi parlamentari (suoi nel senso di territorio e anche di partito) in una riunione per condividere «la necessità di disciplinare un settore che è rimasto privo di regolamentazione e che ha condotto a una trasformazione economica e sociale dei centri storici snaturandone la funzione». Sottotesto: fa bene Sala a lamentarsi. E infatti il deputato (Pd pure lui) Federico Gianassi raccoglie la palla al volo: «È un tema che riguarda Firenze e tutte le città italiane, mi metto a disposizione per l’adozione di un’iniziativa parlamentare che arrivi a prevedere poteri di regolamentazione».

LA LISTA SI ALLUNGA

A Bologna fa sponda il sindaco Matteo Lepore (ancora democratico): «Il mercato degli affitti brevi ha oramai superato la soglia fisiologica, è diventato socialmente insostenibile. È penetrato nelle città, è competitivo con i canoni concordati e li sta minacciando. Servono regole chiare. Chiediamo di poter avere uno strumento concreto per limitare la diffusione incontrollata delle locazioni brevi, bisogna porre un freno all’attuale mercato liberalizzato». Un’intervista rilasciata alla stampa locale il 24 marzo scorso, e più o meno nelle stesse ore tira in ballo anche Verona: «Contatterò, su questo, il sindaco Damiano Tommasi (altro volto del centrosinistra, ndr) con cui ho già avuto un rapporto di collaborazione su tanti fronti».

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A Rimini Jamil Sadegholvaad, un altro tesserato Pd: «Gli affitti brevi sono un valore aggiunto per il turismo, ma serve una legge che regolamenti le attuali distorsioni del mercando fissando anche tetti massimi per le autorizzazioni». Insomma, proprietario avvisato mezzo salvato. Perché poi, in realtà, qui di questioni ce ne sono due. Anzi, tre (e a parte il fatto che, per esempio, a Milano, Stamattina aridna, che è un portale immobiliare, sostiene che, nel capoluogo lombardo, gli alloggi promossi on-line con finalità di affitti brevi siano appena l’1,6% delle case esistenti: quindi il fenomeno c’è, nessuno lo nega, ma non è neanche così catastrofico come viene dipinto).

I PUNTI SUL TAVOLO

La prima questione è che una regolamentazione (che, guarda caso, fa rima con limitazione) avrà una conseguenza soltanto: l’innalzamento del nero. Ché un conto sono le leggi e un altro i controlli. Ma anche ammesso che possano essere stringenti, i controlli, e precisi e puntuali, il punto è che troppo spesso i proprietari di casa finiscono in braghe di tela perché l’inquilino di turno non salda l’affitto e provaci, a cacciarlo. Serve una causa, serve uno sfratto, serve l’ufficiale giudiziario. Serve pazienza. Tanta pazienza. Per cui, volente o nolente, spesso, ripiegano sui fitti veloci, che dan molti meno grattacapi. Ma non bastasse neanche questa, c’è l’ultima, delle questioni: e cioè che la casa, in una democrazia occidentale, è affar di chi ce l’ha, che la gestisce (e affitta o no, quando e perché) come meglio gli pare. E su questo davvero, punto e basta.

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