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Pd, i dem finalmente vincono... le elezioni in Canada

Analisti e progressisti di casa nostra non stanno più nella pelle. Sembra che abbiano trionfato loro, forse perché Carney è un banchiere, e quindi sentono aria di casa
di Pietro Senaldi giovedì 1 maggio 2025

3' di lettura

«Aveva una casetta piccolina in Canadà, e tutte le ragazze che passavano di là, dicevano che bella la casetta in Canadà. Ma un giorno Pinco Pallo per dispetto l’incendiò. Lui fece un’altra casa piccolina in Canadà, con vasche pesciolini e tanti fiori di lillà». Questa filastrocca per bambini è perfetta per fotografare la gioia infantile con cui la sinistra nostrana ha accolto la vittoria di Marc Carney ad Ottawa.

Il leader del Partito Liberale ha battuto con due punti e mezzo di scarto (43,7% a 41,3%) il candidato conservatore, Pierre Poilievre, che in tre mesi ha bruciato il vantaggio di oltre il 20% che i sondaggi gli accreditavano a gennaio. Analisti e progressisti di casa nostra, spesso la prima categoria è un sotto insieme della seconda, non stanno più nella pelle, sembra che abbiano trionfato loro, forse perché Carney è un banchiere, e quindi sentono in qualche modo aria di casa.

QUESTIONE DI NUMERI
In realtà la sinistra, il Partito Democratico - si chiama così anche da quelle parti - ha raccolto solo il 5,4% dei consensi e, con i suoi sette eletti, non potrà neppure formare un gruppo parlamentare autonomo, però i dem nostrani sentono profumo di vittoria. A eccitarli, è la dichiarazione a caldo del banchiere, che ha detto che «il Canada è pronto ad assumere un ruolo di leadership nella costruzione di una coalizione dei Paesi che condividono i nostri valori: crediamo nella cooperazione internazionale e nel libero scambio; se gli Usa non vorranno più guidare, lo faremo noi». Vasto programma, sostituire lo zio Sam. Gli Stati Uniti hanno otto volte la popolazione del Canada e una potenza economica dodici volte superiore in termini di Pil.

Con tutto il rispetto, Carney guida un bellissimo Paese, anche se fa un po’ freddo, con un’alta qualità della vita, ma che economicamente vale meno di noi e il 65% della Francia. Se poi ci addentriamo nel campo militare, l’affermazione del premier di Ottawa assume caratteri grotteschi: gli Stati Uniti sono la prima potenza al mondo, il Canada la ventottesima. L’Italia, tanto per capirsi, è la decima.

Veramente curiosi, questi progressisti. Correttamente, essi colgono che la sola ragione del successo dei Liberali sta nel fatto che Donald Trump, dichiarando da mesi di avere mire espansionistiche sul Canada, ha suscitato una reazione a lui avversa da parte della popolazione di quel Paese e affossato Poilievre, che si proponeva come un clone locale del tycoon a stelle e strisce. Insomma, è stata una reazione patriottica e identitaria contro gli Stati Uniti, ma la sinistra nostrana la legge come una ribellione al sovranismo, anche se perfino gli indipendentisti del Quebec hanno preso più voti del Pd con la foglia d’acero a undici punte, simbolo della nazione nordamericana. Se qualcuno da queste parti può esultare per la vittoria liberale, sono quelli di Forza Italia, Calenda, proprio a voler essere generosi, non Elly Schlein e compagni, che con gli elettori di Carney condividono solo le posizioni sui diritti civili. Invece no, i dem sono pronti a traslocare nella casetta liberale in Canadà, nel solco della più antica tradizione di casa per cui il nemico del mio nemico è mio amico, e se poi quando ci si ritrova ci si mena, chi se ne importa...

IL PAPA STRANIERO
Ma poi, non abbiamo l’Europa, con i suoi quasi 17 trilioni di dollari di Pil, i suoi 27 Stati, e il suo mezzo milardo di abitanti scarso? Perché dovremmo farci guidare da un signore che ha preso solo due punti in più di una caricatura di Trump? Forse che non ci fidiamo di Ursula von der Leyen o dell’Unione? È il solito vizio del Papa straniero che ottunde i nostri dem: non essendo capaci di andare d’accordo tra loro né di combinare alcunché, danno il volante a qualcuno sperando che miracolisticamente risolva i problemi. Ciò che conta è che sia l’ultimo arrivato, che si chiami Elly Schlein o Marc Carney, poco importa. Tanto deve solo servire ad alzare il morale tra una tranvata e l’altra. Bene così. L’importante è che il prossimo salvatore non si chiami Xi Jingping. L’antitrumpismo nostrano potrebbe arrivare anche a questo.

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