Se qualcosa non cambia, gli italiani, nei prossimi anni, perderanno 500 miliardi di Pil. Da qui al 2042, il 18% del Pil. Che significa meno risorse per il welfare, per il servizio sanitario nazionale, per la previdenza. Sono questi gli effetti del crollo di nascite che, con una curva costante da decenni, segna il nostro Paese disegnando scenari apocalittici: in termini di popolazione, da qui ai prossimi anni ci saranno 11 milioni di italiani in meno. Sono alcuni dei numeri da cui sono partiti, ieri, gli Stati generali della natalità, appuntamento organizzato dalla Fondazione per la natalità presieduta da Gigi De Palo. Evento che ha messo insieme l’intero arco costituzionale, fino a Oltretevere.
Oggi ci saranno il Papa e il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. Ieri è stata la volta di Elly Schlein, Giuseppe Conte, Antonio Tajani, Elena Bonetti e Mara Carfagna.
A tracciare il quadro è stato Gian Carlo Blangiardo, ex presidente dell’Istat: «Se le cose dovessero muoversi come abbiamo visto noi perderemo quasi 500 miliardi di Pil», ha avvertito. Una previsione confermata dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti: «Da qui al 2042 rischiamo di perdere per strada una percentuale del Pil pari al 18%». Ed è stato sempre Blangiardo a tratteggiare il quadro, in termini di squilibrio anagrafico, che ci attende: «Ottocentomila mila ultranovantenni oggi, 2,2 milioni ultranovantenni nel 2070, di cui 145 mila ultracentenari. A questi signori qui dobbiamo garantire una qualità della vita».
MENO GIOVANI
Chi la garantirà, se i giovani sono sempre meno? «Teniamone conto perchè ci sarà una spesa sanitaria enorme per dare una qualità di vita ad una popolazione così invecchiata», ha concluso l’ex presidente dell’Istat. «La natalità è un tema che riguarda la salute economica e sociale del Paese», aveva spiegato aprendo i lavori De Palo. «Non c’entrano i valori o gli schieramenti politici, ma cosa accade nel presente e cosa accadrà nel futuro a tutti noi, nessuno escluso». Ha ricordato che «siamo al record negativo di 339mila nascite contro 700mila morti. Se non cambia qualcosa, tra qualche anno, crollerà tutto». E dire che il desiderio di avere figli esiste eccome. Ogni donna, secondo gli studi illustrati, desidera almeno due figli. Eppure il tasso di natalità è all’1,24. «Lo 0,76 che manca», lo scarto tra desideri e realtà, «si chiamano sogni e desideri di un popolo che l’Italia non riesce a realizzare».
Ma l’inverno demografico rischia di diventare innanzitutto un problema economico. Le aziende «già oggi fanno fatica a trovare lavoratori, figurarsi tra qualche anno. E il Pil? Se non ci sono lavoratori chi produrrà ricchezza? A che serve la digitalizzazione se non nascono più nativi digitali? L’Italia oggi stabilmente all’ottavo posto come potenza economica del mondo se non inverte la rotta tra una ventina d'anni crollerà al 25º posto. Natalità ed economia sono strettamente collegate». Tra gli ospiti della prima giornata, il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara, che ha portato un altro dato allarmante: «Fra 10 anni dagli odierni 7,4 milioni di studenti, dato del 2021, nell’anno scolastico 2033/34 si scenderà a poco più di 6 milioni, ad ondate di 110/120mila ragazzi in meno ogni anno».
SCONTI NECESSARI
È intervenuto, in videocollegamento, Matteo Salvini, sottolineando come «l’emergenza culle vuote sia nazionale, senza colore politico» e sostenendo che occorre «prevedere una detrazione per ogni figlio». La cifra immaginata, ha detto, è di 10mila euro. Sono intervenuti Antonio Tajani, Elena Bonetti, Mara Carfagna. Ma anche Giuseppe Conte, con un videomessaggio, e Elly Schlein, in collegamento. Sia il leader del M5S, sia la segretaria del Pd hanno insistito sul legame tra lavoro e fare figli: «La precarietà non fa figli e neanche chi ha buste paghe da fame», ha detto l’ex premier e leader del M5S. Sulla stessa linea Schlein, che ha osservato come «paura e precarietà siano legate». Davanti alle proposte del governo di centrodestra, la segretaria Pd si è schierata a favore dell’assegno unico, ma contro le detrazioni fiscali: «Sarebbe un passo indietro rispetto alla sistemazione organica dell’assegno unico».
IL CASO LOLLOBRIGIDA
La polemica, però, si è scatenata attorno all'intervento del ministro Francesco Lollobrigida, già bersaglio di critiche dopo una frase sulla “sostituzione etnica”: «Credo sia evidente a tutti», ha detto, «che non esiste una razza italiana. Esiste però una etnia italiana che la Treccani definisce raggruppamento linguistico culturale e che immagino in questo convegno si tenda a tutelare, altrimenti non avrebbe senso». Lollobrigida ha poi spiegato che «abbiamo un incremento di 75 milioni di persone l’anno nel mondo» e che «tante persone nel mondo vorrebbero venire a vivere in Italia». Perché, allora, preoccuparsi del calo delle nascite, se non «per ragioni legate alla difesa di quella appartenza a cui molti di noi siamo legati, io in particolare con orgoglio, alla cultura italiana, al nostro ceppo linguistico, al nostro modo di vivere». «Farneticazioni» per Arturo Scotto, Pd, che ha chiesto a Giorgia Meloni di cacciarlo. «Errare è umano, perseverare...», commenta su Twitter Simona Malpezzi. «Qualcuno spieghi al ministro che siamo nel 2023, non nel 1923», affonda Pina Piecierno. I deputati e i senatori Cinquestelle in commissione Agricoltura chiedono addirittura la cacciata del ministro di Fratelli d’Italia: «Dopo la sostituzione etnica, la difesa dell'etnia italiana. Lollobrigida continua a rilasciare dichiarazioni gravissime. Meloni non può più fare finta di niente. Sostituisca Lollobrigida, oppure ammetta che quella del ministro è la linea di tutto il suo governo».