CATEGORIE

Roberto D'Alimonte, la rivelazione: "Ecco quando l'Italia sarà stabile"

di Fausto Carioti lunedì 22 maggio 2023

5' di lettura

Il treno delle riforme è partito. Gli intenti del governo sono due: dare stabilità ai governi e garantire il rispetto del voto popolare. Obiettivi che il politologo Roberto D’Alimonte, autorità in materia di sistemi elettorali e riforme istituzionali e fondatore del Cise, il Centro per gli studi elettorali della Luiss, condivide. «Sono obiettivi che abbiamo sostanzialmente raggiunto a livello di comuni e di regioni. Lo abbiamo fatto con un modello di governo originale, che combina elementi del presidenzialismo con altri del parlamentarismo. La sua essenza è l’elezione diretta del capo dell’esecutivo e di una maggioranza a lui collegata».

Monti, colpo grosso del governo: cancellate le sue tasse, ecco quali

Con la prossima riforma fiscale gli italiani potranno dire addio alle tasse introdotte dal governo Monti a fine 2011 col...

È qui la chiave, professore? Nell’elezione diretta e contemporanea di chi governa e della maggioranza che lo sorregge?
«Sì, questo collegamento è necessario per favorire la stabilità dell’esecutivo. A questa caratteristica ne è stata aggiunta un’altra: i consigli comunali e regionali possono sfiduciare sindaco e presidente di regione, ma in tal caso si torna a votare. Come ho detto si tratta di un modello originale, che proprio per questo ho sempre chiamato “modello italiano di governo”».

E questo modello, secondo lei, è adottabile a livello nazionale?
«Lo è, ma è bene tenere presente che si tratta di un modello rigido. Tanto rigido che, anche in caso di dimissioni del capo dell’esecutivo per malattia o altro impedimento, sarebbe necessario tornare a votare. Aggiungo che un modello del genere andrebbe a toccare i due poteri rilevanti del presidente della repubblica: quello di nominare il capo del governo e quello di sciogliere le camere».

Le alternative sarebbero il presidenzialismo, magari sul modello statunitense, o un semipresidenzialismo ricalcato sul sistema francese. Il governo, però, non pare interessato. Giusto così?
«Presidenzialismo o semi-presidenzialismo sarebbero due possibilità, ma è un fatto positivo che siano state escluse. Nel nostro contesto è bene che il presidente della repubblica sia percepito come una figura al di sopra delle parti. È un elemento di equilibrio. Un presidente della repubblica eletto direttamente dai cittadini non potrebbe mantenere questa caratteristica, se non altro perché, dovendo fare una campagna elettorale, verrebbe inevitabilmente visto come una figura di parte. I nostri presidenti oggi non fanno campagne elettorali. E se le fanno, è dietro le quinte».

Resta il premierato, la soluzione su cui punta il governo.
«Nella versione che piace al centro-destra prevede l’elezione diretta del premier. In questo caso sarebbe molto simile al modello del sindaco o a quello del presidente di regione, dunque a quello che chiamo modello italiano di governo. Nella versione che piace al centro-sinistra prevede invece il rafforzamento dei poteri del premier e la sfiducia costruttiva, ma senza elezione diretta. Due posizioni molto diverse».

Per il governo l’elezione diretta è un punto fermo. Basterebbe un turno unico o è necessario un ballottaggio tra i due candidati premier più votati?
«Sono fermamente convinto che il ballottaggio classico, che scatta nel caso in cui nessuno raggiunga il 50% dei voti al primo turno, sia la soluzione migliore sia sul piano teorico che su quello pratico. Con questo sistema chi vince ha sempre la maggioranza assoluta dei voti, al primo o al secondo turno, e ciò ne rafforza la legittimità».

Calderoli: "Ci provano con ogni mezzo": chi affossa l'Autonomia

Più che un sospetto, dice a Libero un parlamentare leghista di lungo corso, è una certezza: «Hanno i...

Al centro-destra i ballottaggi non piacciono, forse perché spesso li perde anche se chiude il primo turno in vantaggio.
«Non vedo, però, come possa evitare di prevedere il ballottaggio eventuale, quello che scatta se nessuno arriva a una certa soglia, diciamo il 40%. Non prevederlo significherebbe ammettere la possibilità di eleggere un premier con il 30% dei voti o addirittura meno. Non mi pare una strada percorribile. Comunque, ancora non se ne parla».

Non si parla nemmeno del collegamento tra l’elezione del premier e l’elezione del parlamento, ossia della legge elettorale.
«Eppure è un collegamento necessario. Al premier eletto dai cittadini va garantita la maggioranza dei seggi in parlamento per dare stabilità al sistema. Insomma, alla fine si finisce sempre a quel modello italiano di governo di cui parlavo».

Lei è uno dei padri dell’Italicum, il sistema elettorale che prevedeva un premio di maggioranza per il vincitore. Stabilità, ma senza toccare la Costituzione. Non fu mai messo all’opera. Potrebbe essere una soluzione oggi?
«È stato condannato all’oblio da una sentenza della Consulta e dagli errori di Renzi, ma è un’alternativa cui resto affezionato. Mi riferisco all’Italicum nella sua prima versione, che era una via di mezzo tra il premierato forte cui pensa il centro-destra e quello che vuole il centro-sinistra. Con quel modello gli elettori sceglievano “direttamente” il capo del governo. Era così se una coalizione arrivava al 40% dei voti. Se nessuna coalizione avesse raggiunto questa soglia le due coalizioni più votate, con i rispettivi candidati-premier, si sarebbero affrontate in un ballottaggio. In un caso e nell’altro al vincente sarebbe andato il 54% dei seggi, mentre i perdenti si sarebbero spartiti il restante 46%. In questo modo si raggiungeva non solo l’obiettivo della stabilità, con l’elezione “diretta”, ma anche quello della rappresentatività, con una quota significativa di seggi per i partiti di opposizione».

Assomiglia molto al modello del sindaco, al quale il governo ora si ispira per l’elezione del premier.

«Sì, ci si avvicina molto. La differenza sono le virgolette che uso parlando di elezione diretta. Con l’Italicum non è necessario modificare la forma di governo. Si resta dentro la forma di governo parlamentare. Il capo del governo cui gli elettori danno la maggioranza dei voti e dei seggi viene indicato dagli elettori, ma è formalmente eletto in parlamento e può essere sfiduciato dal parlamento. Rispetto al modello del sindaco offre minori garanzie di stabilità, ma maggiore flessibilità, e lascia praticamente intatte le prerogative del capo dello stato».

Sul tavolo c’è anche la possibilità di introdurre la sfiducia costruttiva: il parlamento può togliere la fiducia al governo solo se, contemporaneamente, vota la fiducia a un nuovo esecutivo. La usano in Germania. Da noi può funzionare?

«No. L’efficacia di questo meccanismo nel nostro contesto è largamente sopravvalutata. In Germania esiste una cultura della stabilità sia a livello di classe politica che di elettorato. È questa che rende la sfiducia costruttiva un meccanismo efficace. Da noi questa cultura non c’è».

La riforma della Costituzione dovrebbe essere anche l’occasione per rivedere il sistema bicamerale?

«Sì. Non ha alcun senso avere due camere con gli stessi poteri. Insieme alla Romania siamo gli unici in Europa. Il Senato deve diventare la camera delle regioni. Mi meraviglio che il progetto sull’autonomia regionale non sia stato collegato a quello della riforma del Senato».

Quale strumento ritiene migliore per cambiare la Costituzione? Lo stesso parlamento o una commissione bicamerale ad hoc?

«La discussione su questo punto non mi appassiona. Ciò che importa è che, qualunque riforma sia fatta, trovi il consenso di una larga maggioranza delle forze politiche. Solo un ampio consenso può legittimare il cambiamento delle regole del gioco, rafforzare la credibilità della classe politica e la fiducia nelle istituzioni».

Nella riunione al Cnel in cui si è discusso delle riforme erano presenti solo costituzionalisti. A quel tavolo non c’era né lei né nessun altro politologo.

«In Italia i costituzionalisti contano più dei politologi. Nel nostro paese l’uso dei dati e l’analisi empirica dei fenomeni politici sono largamente sottovalutati».

Riforme istituzionali, il nuovo super premier scioglierà le Camere

È una sorta di “super premier” eletto dal popolo assieme ai parlamentari (stesso giorno, stessa sched...

Palla di vetro Europee, D'Alimonte: "Il Sud diserterà le urne", ecco chi rischia di pagarla

Palla di vetro Molise, la profezia di D'Alimonte: "Voto molto più incerto di quel che pensano"

L'esperto Sondaggi, Roberto D'Alimonte: "Chi sarà la vera sorpresa del voto"

tag

Ti potrebbero interessare

Europee, D'Alimonte: "Il Sud diserterà le urne", ecco chi rischia di pagarla

Molise, la profezia di D'Alimonte: "Voto molto più incerto di quel che pensano"

Sondaggi, Roberto D'Alimonte: "Chi sarà la vera sorpresa del voto"

Roberto D'Alimonte: "Contro l'uomo forte serve l'elezione diretta del capo del governo"

Fausto Carioti

Marco Bassani: L'europeismo trasformato in un culto neo-marxista

Infuria la polemica su un documento che credo debba essere posto nella giusta luce. È vero che occorre contestual...
Marco Bassani

Patricelli: La verità nascosta dal Pci su chi uccise il Duce

Un cold case da ottanta anni nella ghiacciaia della storia, con un enigma avvolto da un mistero. In attesa che l’e...
Marco Patricelli

Calessi: Bertinotti e Fini, uniti dalla Lega ma separati sulla guerra

Il rosso e il nero a casa della Lega. Sono stati loro, Fausto Bertinotti e Gianfranco Fini, intervistati dal direttore d...
Elisa Calessi

De Leo, Salvini dopo la telefonata con Vance: "Frizioni? Siamo su scherzi a parte"

La telefonata con J. D. Vance e la contrarietà rispetto alle ipotesi di riarmo. Il vicepresidente del Consiglio M...
Pietro De Leo