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L'utero in affitto è solo per ricchi: la sinistra tace sulla realtà

di Renato Farina giovedì 1 giugno 2023

4' di lettura

La bandiera della grande battaglia progressista, quella per il diritto all’utero in affitto almeno all’estero, Elly Schlein deve averla presa in comodato da un museo di schiavisti confederati del Texas. Addio al vecchio superato detto proletari -di -tutto -il -mondo -unitevi, hanno già dato, e l’hanno, presa in saccoccia. Adesso di tratta di radunare i ricchi - preferibilmente omo, dato che per loro viene difficile provvedersi di prole in proprio per garantire loro il diritto a comprarsi i bambini affittando l’utero di sottoproletarie messicane o georgiane. Per costoro quattro soldi, una montagna di denaro invece per le agenzie incaricate di ri-globalizzare in senso post -moderno il razzismo sociale. Bisogna vietare la parola razza in tutte le leggi patrie e forestiere, in compenso si va a selezionare nei quartieri dei disperati le figliole in salute, con un colore della pelle compatibile, e un dna a prova di occhi azzurri, per ridurle a uteri per i propri bisogni di piccirilli da portare in carrozzina.

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A questo si è ridotta la sinistra dem di obbedienza schleiniana e di + Europa. Non hanno il coraggio di promuovere una legge che consenta di praticare in Italia la cosiddetta «maternità surrogata» o - lo scrivo sapendo di suscitare l’orrore dei militanti Lgbtqi+ - d’affitto di uteri, che oggi è reato dal 2004.
Questo no. Diventerebbe troppo visibile e sfacciato l’orrore del permesso fornito ad abbienti per procurarsi ragazze disperate, magari fatte migrare per ragioni umanitarie apposta dall’Ucraina o dalla Georgia, disposte a lasciarsi usare come incubatrici di bambini. Sia chiaro: le ragioni umanitarie non sarebbero addotte da giovanette in fuga da territori di guerra, purché bionde, ma a consolazione di coppie o single, omo o etero, bisognosi di un focolare domestico dotato di un pupo o di una pupa su ordinazione.


Così hanno ripiegato sull’ipocrisia di far muro contro la legge della maggioranza di centrodestra, sostenuta dal governo, che prevede di considerare «reato universale» procurarsi un figlio con questi metodi. Si vuol lasciare ai ricchi di praticare il turismo procreativo, che include il diritto di recedere nel caso di bimbi nati difettosi e perciò piazzati in orfanotrofi appositi. Che sia per ricchi lo sanno tutti, anche la Schlein, che pure non è famosa per essere enciclopedica. Tutto compreso si va da un pacchetto Gpa dal costo tra i 120 e i 140mila dollari negli Usa, dove se però si vuole un prodotto perfetto, si sale a 250-300mila. In Grecia il prezzo parte da 66.900 euro, in Georgia da 47.200 euro e in Albania da 61.900 (fonte Italia oggi). L’acquisto ciuccio-in-mano più economico è quello ucraino, dove si va da 43.000 euro ma che può facilmente arrivare a 49.900 euro «a seconda della difficoltà della gestione amministrativa». Non sono prezzi trattabili con la futura madre.


CI PENSA L’AGENZIA
A quella pensa l’agenzia, che di solito fa in modo di accontentarla con cifre ridicole per i compratori, che nei Paesi dove i redditi sono bassi o bassissimi scendono a 5mila euro. Ci viene in mente- si chiama amaro sarcasmo - che le candidate devono essere, come in quel famoso film, «povere ma belle». Le leggi sono diverse da Paese a Paese. In Occidente si tende- tranne che negli Usa- a vietare un vero e proprio contratto. Si preferisce parlare di gestazione altruistica. Cioè gratis. Bugie mistiche. Ci sono rimborsi spese, indennità, eccetera. Il costo della ricerca del tipo giusto. Eccetera. La Mecca di questo genere di operazioni era l’Ucraina, ora è la Georgia. Vi risparmi qui storie raccapriccianti.

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Ne racconto una cui ho assistito con un’amica. Lungotevere. Lei riconosce due suoi conoscenti gay che spingono una doppia carrozzina. Che fate i bambinai? Ma no, sono i nostri gemelli. Salta fuori che avevano trovato una ragazza in Romania, 40mila euro. Accidenti, il mediatore informa che sono due gemelli. Loro chiedono di farla abortire. Lei si oppone. Il contratto non prevede il rifiuto. Anzi il raddoppio del prezzo. Trattano. Paghi uno e mezzo e prendi due. Si chiama civiltà? Nel linguaggio politicamente corretto si chiama Gpa, sembra un optional per auto molto utile per le frenate sul bagnato. In realtà significa “gestazione per altri”. Mai nome è stato così lontano dalla realtà. È stato un lavoretto di mascheramenti semantico, con le sigle e le definizioni asettiche, perché una faccenda molto umana, che più umana non si può, con protagonisti che ci mettono le viscere, sia considerata una banale pratica tecnologicamente green, sostenibile come le pale eoliche. Niente macchinari di plastica, che notoriamente fanno male all’ambiente, ma una riproduttrice di carne e ossa, riciclabilissima.


IPOCRISIA WOKE
Che significato esprime: gestazione per altri? Che schifo l’ipocrisia woke. Le parole sono importanti, non perché sia la citazione di un film di Nanni Moretti, ma perché Dio che si chiama Verbo, Logos, Parola. Le uniche entità umane dotate di soggettività, desideri, futuro, anima sono gli «altri». Non la madre dalla pancia grossa, e il figlio che nuota nelle sue acque materne impregnandosi di un’impronta indelebile. Essi spariscono nella formula Gpa, non esistono per sé stessi, non hanno dignità propria, ma esauriscono il loro significato nel partecipare a una «gestazione per altri». Altri chi? I committenti, gli unici ad aver il diritto conclamato come universale- ma in realtà valido solo per i ricchi- e essere felici, con prole su ordinazione. Donna e piccino sono proprietà prenotabili, con contratto e caparra, hanno il diritto inalienabile a essere comprati, affittati: schiava e schiavetto, a giusto prezzo, s’intende. Il giusto prezzo poi lo fa il mercato. 

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