È stato un soldato, è stato un giornalista, è stato uno scrittore ed è stato un politico. Sempre senza nessuna paura di schierarsi dalla parte più scomoda. Questo è stato Giorgio Pisanò, che aderì a vent’anni alla Repubblica sociale italiana per poi diventare, tra l’altro, senatore del Msi per cinque legislature, direttore del Candido (da lui rifondato) e autore di libri di successo come “Sangue chiama sangue”, “La generazione che non si è arresa”, “Storia della guerra civile in Italia (1943-194)”, “Gli ultimi in grigioverde” e “Gli ultimi cinque secondi di Mussolini”. Negli anni Novanta, infine, era diventato famoso anche per aver fondato un piccolo partitino, il Movimento Fascismo e Libertà, che per il suo nome aveva fatto infuriare gran parte della sinistra. Morto nel 1997, Pisanò negli ultimi anni è stato un po’ dimenticato. Adesso, però, è uscita la prima biografia che ne ripercorre vita, opere e battaglie, scritta da Luca Bonanno: Giorgio Pisanò. Soldato, giornalista, politico (Eclettica, pp.640, euro 23).
Il volume parte dalla scelta che ha condizionato tutta la vita di Pisanò, ovvero quella fatta dopo l’8 settembre 1943. Il giovane Giorgio (era nato nel 1924), decide di seguire Benito Mussolini, aderisce alla Rsi e si arruola nella Decima Mas agli ordini di Valerio Borghese, unendosi a tanti altri giovani che, come ha scritto successivamente, «rifiutarono la resa senza condizioni, la fuga del Re e del governo Badoglio, il rovesciamento di fronte e scelsero di continuare a combattere su una barricata ormai perdente sul piano militare, per difendere ciascuno la sua dignità di italiano e l’onore della bandiera».
DOPOGUERRA
I mesi della Repubblica sociale sono avventurosi e pericolosi, ma le vere difficoltà iniziano paradossalmente dopo la fine della guerra. Viene imprigionato e, quando riesce finalmente a tornare a casa, trova la famiglia nella miseria più nera. Non trova lavoro, Pisanò, e deve arrangiarsi col contrabbando di sigarette. Una prima svolta arriva alla fine del 1946, con la fondazione del Msi. Lui aderisce subito, dividendosi tra il contrabbando e la militanza politica nella sezione di Como, di cui diventa segretario.
Nel 1948 arriva la seconda e forse più importante svolta: Giorgio scopre il giornalismo iniziando a collaborare con il Meridiano d’Italia. La passione per la scrittura, per le inchieste, per la ricerca delle notizie non lo abbandonerà più. Nel 1954 passa a Oggi, nel 1963 fonda il settimanale Secolo XX e nel 1968 riporta in edicola il Candido, erede di quello di Giovannino Guareschi. Alla direzione del nuovo Candido, Pisanò resta fino al 1992, quasi un quarto di secolo. Nel frattempo, come detto, si fa anche vent’anni in Parlamento, senatore missino dal 1972 al 1992. Ce ne sarebbe già abbastanza per riempire un paio di vite. Ma ancora abbiamo affrontato quella che forse è stata la specialità di Giorgio Pisanò: i libri di storia. Scrive Bonanno: «Grande merito di Pisanò è stato quello di aver parlato per primo, tramite i suoi libri, molto ben dettagliati, di guerra civile. “Sangue chiama sangue” e “La generazione che non si è arresa” sono rispettivamente del 1962 e del 1964. Prima di lui nessuno spese una parola in merito alle violenze partigiane contro i soldati della Repubblica sociale, poi, verso la fine degli anni Ottanta, lo storico Claudio Pavone tenne una serie di convegni che sfociarono nel 1991 nel libro “Una guerra civile”, dove sdoganò finalmente il termine guerra civile, in precedenza usato solo dalla storiografia neofascista».
«SOLITARIO E DETERMINATO»
Coi suoi lavori, inoltre, Pisanò è stato fondamentale anche per Giampaolo Pansa, che alle vendette dei partigiani ha dedicato numerosi libri, a partire naturalmente da “Il sangue dei vinti”. Diceva Pansa nel 2017: «Io mi sono occupato di Guerra di Liberazione sin dalla mia tesi, 600 pagine, che vinse il premio Einaudi e poi divenne un libro. Appena iniziò a pubblicare sul tema io iniziai a leggerlo. Capii da subito il grande merito che avevano le inchieste e i libri di Pisanò. Sino a quel momento sul tema, il lacerante conflitto civile tra il ’43 e il ’45, avevano potuto parlare e scrivere solo gli antifascisti e, soprattutto, gli antifascisti comunisti. A partire dal suo “Sangue chiama sangue” questo giornalista con il piglio dell’indagine ha messo a disposizione di chi voleva ascoltarla anche la voce degli altri. Di quella generazione, a cui anche Pisanò apparteneva, che, cresciuta con gli ideali del fascismo, non ha voluto o saputo rinnegarli. Pisanò quell’esperienza l’aveva vissuta sino in fondo». E ancora: «Pisanò dimostrò subito la sua capacità di raccolta di dati. Era un lavoratore preciso e certosino. Era solitario e determinato. Questo gli ha consentito di costruire un enorme archivio che ora è gestito da suo fratello Paolo che a volte mi ha permesso di utilizzarlo con grande generosità. Io penso che i suoi lavori siano accurati. Personalmente li ho studiati molto e non ho mai trovato errori. Pisanò non è stato un autore intossicato dalla fede ideologica. Ed è per questo che ripubblicarlo oggi ha ancora pienamente un senso». E se lo diceva anche uno come Pansa...