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Schwa alla maturità, studente premiato? L'ultima follia del politicamente corretto

di Giovanni Sallusti giovedì 29 giugno 2023

3' di lettura

I fatti da soli saranno anche stupidi, come osservava Friedrich Nietzsche, eppure proviamo a metterne in fila alcuni, per azzardare poi un’interpretazione vagamente dotata di senso. Fatto numero uno. La prima prova dell’esame di maturità, il sempiterno tema, accerta anzitutto (si legge sul sito del ministero dell’Istruzione e del Merito, non in qualche chat interna di Libero) “la padronanza della lingua italiana (o della diversa lingua nella quale avviene l’insegnamento)” da parte dell’alunno. Quindi, “le capacità espressive, logico-linguistiche e critiche degli studenti” (di cui la padronanza della lingua è evidentemente precondizione).

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Fatto numero due. Al liceo scientifico statale Plinio Senore di Roma l’insegnamento “avviene” indubitalmente in lingua italiana, ovvero in quella lingua romanza appartenente al ceppo indoeuropeo parlata nella nostra penisola (fidatevi, non sono precisazioni gratuite, niente lo è in tempi politicamente corretti). Fatto numero tre. L’italiano distingue due generi grammaticali: il maschile e il femminile. Fonte, tra le mille altre: l’enciclopedia Treccani, che non risulta un’enclave sovranista. Postilla non irrilevante del fatto tre: il genere grammaticale, lo rilevavano tra gli altri Georges Dumézil e Claude Lévi-Strauss (uno dei massimi filologi e uno dei massimi antropologi del Novecento, insomma gente perfino più attrezzata intellettualmente di Saviano), non coincide obbligatoriamente con il genere naturale. Banalizzando: un conto sono le desinenze dei nomi e la concordanza all’interno delle frasi, altro conto l’identità di genere, il sesso biologico e/o quella sua caricatura arcobaleno che è il sesso percepito.

Fatto numero quattro. L’alfabeto italiano è costituito da 21lettere, più 5 di derivazione latina o straniera. Né le prime né le seconde comprendono la mitologica “schwa”, la “e” rovesciata e minuscola che è il Sacro Graal dei benpensanti della scrittura, il segno grafico inclusivista sostitutivo delle barbare desinenze in cui si possono riconoscere anche i “non-binari” (qualunque cosa voglia dire, approssimativamente coloro che non accettano la reazionaria distinzione maschio/femmina).

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Alla luce di tutte le acquisizioni fattuali di cui sopra, ci sentiamo di dire che anche l’ultimo eroe del politically correct a testate unificate, il maturando Gabriele Lodetti del menzionato liceo Plinio Senore, è destinato a evaporare nel proprio quarto d’ora warholiano di celebrità buonista. Gabriele ha - verbo suo rilasciato a Repubblica- «sfidato il sistema scolastico e la società». Come? Facendo la cosa meno sfidante, più conformista, più applaudita nella buona “società”, ovvero utilizzando la “schwa” nel tema d’esame. Non a caso, invece che vedersi rifilata una grave e meritata insufficienza per manifesta non “padronanza” dell’alfabeto italiano, premessa per valutare qualunque capacità espressiva nella nostra lingua, si è aggiudicato un bel 17 su 20, equiparabile a un 8.

Ma soprattutto, da un paio di giorni imperversa su giornali, tiggì, tendenze social. Elisabetta Piccolotti, deputata di Alleanza Verdi e Sinistra nonché signora Fratoianni (o piuttosto lui è il signor Piccolotti, intendiamoci, nessun pregiudizio maschilista), lo ha incensato così: «Questo atto è una protesta contro l’omologazione e la rigidità delle norme». Omologazione, deduciamo, è scrittura in italiano corretto (non politicamente, sintatticamente), mentre la rigidità delle norme allude all’ostinazione con cui il vocabolario pretende di non farsi modificare a piacimento ideologico dagli studenti che devono ancora dimostrare di bazzicarlo.

Un’operazione letteralmente di ri-scrittura orwelliana della lingua, che Lodetti rivendica espressamente in una videointervista con l’Ansa: «$ nata in maniera spontanea. Mi sono ritrovato la parola “cittadini”, e allora invece di scrivere “cittadini e cittadine” ed essere ripetitivo per tutto il tema mi sono detto ci metto la “schwa” e metto una nota che la possa spiegare». Bontà sua, nella nota non si è «concentrato sul particolare significato politico che questo potesse avere», ma «semplicemente» su «cosa rappresentava a livello grammaticale». In italiano, nulla. Nell’idioma in cui lo studente ha scelto di svolgere la prova di italiano, «un plurale che indicava tutti e due i generi, se non addirittura il non-genere». È la soggettivizzazione totale dell’esame, per cui la prossima volta qualcuno potrà inserire una “nota” iniziale in cui precisa di voler scrivere in gaelico, in dialetto brianzolo o napoletano, in antico sumero cuneiforme. L’alternativa è tornare a una parvenza di realtà oggettiva, e dire che Gabriele Lodetti deve essere bocciato. Ma saremmo presi per fascisti della lingua, per di più sessualmente binari.

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