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Salario minimo? Un salasso: costerebbe almeno 6 miliardi

di Franco Vergnano martedì 4 luglio 2023

3' di lettura

Un’opposizione divisa e litigiosa non ha saputo trovare un minimo comun denominatore nemmeno in una proposta sul lavoro. Infatti il disegno di legge, primo firmatario il leader grillino Giuseppe Conte, non ha saputo raccogliere il consenso dell’Italia viva di Matteo Renzi e ha causato numerosi mal di pancia anche tra le altre componenti della sinistra che partivano da mezza dozzina di “variopinte” posizioni diverse. Il tutto per una rivendicazione che arriva fuori tempo massimo, dal momento che la paga minima per un’ora di lavoro era già prevista dal Codice di Hammurabi, Babilonia, 1750 avanti Cristo. Ma, al di là delle guerre intestine e delle divergenze politiche, evidentemente c’è un motivo economico di fondo che frena il tutto: sabato il giornale radio di Rai1 ha infatti ricordato che l’introduzione dello Smic, come lo chiamano in Francia, costerebbe alle aziende almeno 6 miliardi di euro. Una cifra non nuova, in verità, che era già stata anticipata da Libero in un articolo a tutta pagina del 10 luglio 2022 per lanciare l’allarme sull’ennesima fregatura dei grillini che, in assenza di nuove idee, ricicciano i vecchi slogan.

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SIAMO ESENTATI
Ma prima di vedere i disastri che potrebbe causare sulla nostra già fragile economia l’introduzione del salario minimo vale forse la pena di ricordare che è la stessa Ue a “esentarci”, dal momento che l’Italia ha già una elevatissima percentuale di lavoratori coperta dalla contrattazione collettiva fatta da qualche sindacato: sempre ieri la radio di Stato accreditava una percentuale del 97%, anche se per altre fonti la quota di accordi firmati dalle rappresentanze della “triplice” sarebbe più bassa (ma comunque superiore all’80%). Non per niente nella Ue risultano senza Smic anche Austria, Cipro, Danimarca, Finlandia e Svezia, mentre la Bulgaria ha una paga oraria minima di 1,87 euro a fronte del record Lussemburghese di 12,38 (ma quello è un piccolissimo Paese dove non c’è industria e vive grazie ai paradisi fiscali garantiti da mille commercialisti).


Del resto il salario minimo, oltre che un facile mito populista, è ormai diventato una mina vagante sulla quale si recita a soggetto. Siamo anche arrivati alle “divergenze parallele”: su questo tema Landini e Meloni hanno addirittura una posizione analoga, nel senso che sono contrari. La Cgil non lo vede di buon occhio perché riduce gli spazi di contrattazione e Giorgia dice no, anche per lasciare spazio a una maggior rappresentanza sindacale, possibile punto di intesa. Il no allo Smic è venuto anche dal leader della Cisl, Luigi Sbarra. Ma non basta. In un incontro in Bocconi, Tito Boeri si è detto favorevole,“ideologicamente”, al salario minimo.

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LE CONSEGUENZE
Elencando però una serie di “warning” che lo renderebbero irrealizzabile. Il principale è (citazione testuale): «Se fissati a un livello troppo alto, i salari minimi distruggono posti di lavoro nelle aziende medio-piccole». Su posizioni analoghe anche Elsa Fornero (sì, proprio quella delle pensioni). Inoltre, alzare la paga per legge farebbe crollare rapidamente i contratti di apprendistato (oggi ne beneficiano 700mila giovani) dedicati alla formazione, uno strumento di cui l’Italia ha bisogno come il pane per fornire risorse alle proprie filiere produttive.
Un doppio peccato perché sono un fenomeno positivo che conferma la correttezza di questo strumento per entrare nel mondo del lavoro: prima ingaggi “di assaggio” per poi arrivare alla stabilizzazione. Sarebbe poi il caso di riflettere su quanto ha sostenuto la Meloni: un salario legale può determinare un effetto sostitutivo dei minimi tabellari previsti nei contratti nazionali di lavoro. E, anche nella più lineare delle ipotesi toglierebbe margini alla negoziazione, come se fosse una “scala mobile spuria”. Che cosa resterebbe infatti da contrattare ai sindacati? 

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