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Magistratura, se l'opposizione la fanno le toghe: vogliono fermare la riforma Nordio

di Fausto Carioti venerdì 7 luglio 2023

4' di lettura

Nel governo Meloni la sensazione di déjà vu non è mai stata forte come negli ultimi giorni. Si ricorda il trattamento riservato dalle procure a Silvio Berlusconi: le dimensioni di ciò che accade ora sono lillipuziane, al confronto di quella persecuzione, ma lo schema è lo stesso. E scatta proprio nel momento in cui il governo si prepara a riformare sul serio la giustizia, tramite un disegno di legge scritto da Carlo Nordio che prevede la cancellazione del reato d’abuso d’ufficio, delimita il reato di traffico d’influenze e riduce il potere d’impugnazione delle sentenze da parte dei pm ai casi di assoluzione per i reati gravi. Prima si scopre che Daniela Santanchè è indagata dalla procura di Milano senza ancora aver ricevuto un avviso di garanzia, malgrado il suo nome sia stato iscritto nel registro dai pm il 5 ottobre: nove mesi fa.

Poi la gip di Roma impone alla procura, che aveva chiesto l’archiviazione, l’imputazione per il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro, esponente di Fdi, indagato per rivelazione di segreto d’ufficio in relazione al caso dell’anarchico Alfredo Cospito. Una decisione, quella presa dalla giudice per le indagini preliminari in contrasto col parere dei pm, ovviamente prevista dalla legge, ma tutt’altro che abituale. Il risultato è che ora sono due i membri del governo oggetto di attenzioni speciali da parte delle toghe e per i quali la sinistra invoca le dimissioni. Nelle stesse ore, Repubblica ricorre al commissario Ue alla Giustizia, il belga Didier Reynders (il cui partito appartiene a Renew Europe, il raggruppamento di Emmanuel Macron), per avvertire Giorgia Meloni e Nordio: intervistato, Reynders fa sapere che lui e gli altri della commissione sono «preoccupati» per l’abolizione del reato d’abuso d’ufficio e per la modifica del reato di traffico di influenze, poiché temono che l’Italia non abbia più strumenti efficaci contro la corruzione.

Una catena di eventi alla quale vanno aggiunte le dimissioni di quattro insigni giuristi progressisti – Giuliano Amato, Franco Gallo, Alessandro Pajno e Franco Bassanini – dal comitato incaricato di individuare i livelli minimi dei servizi pubblici che ogni regione dovrà garantire quando entrerà in vigore l’autonomia differenziata. La dichiarazione ufficiale di guerra al governo da parte dei costituzionalisti di sinistra, che formalmente riguarda il progetto di Roberto Calderoli, ma in realtà tutto il disegno di riforma istituzionale in gestazione, che prevede di trasformare l’attuale repubblica parlamentare in qualcosa di simile ad una repubblica presidenziale, nella quale il capo del governo sarà scelto dagli elettori.

ATTACCO AL PROGRAMMA
Il vero bersaglio dei movimenti che stiamo vedendo, insomma, è la parte più importante del programma dell’esecutivo e della maggioranza, quella che al momento esiste solo sulla carta, ma una volta attuata promette di cambiare volto al Paese: la riforma della giustizia, l’autonomia differenziata, l’elezione diretta del premier o del capo dello Stato. Con un’opposizione parlamentare che in parte è pronta a votare le leggi del governo e in parte è costretta all’irrilevanza dall’inconsistenza dei suoi leader, l’operazione può riuscire solo se condotta da chi sta fuori dal parlamento. «Metodi collaudati», li chiamano a palazzo Chigi.

Dove la domanda (retorica) è «se una fascia della magistratura abbia scelto di svolgere un ruolo attivo di opposizione. E abbia deciso così di inaugurare anzitempo la campagna elettorale per le elezioni europee». Già la tempistica del trattamento riservato mercoledì alla Santanchè aveva tolto gli ultimi dubbi: «In un procedimento in cui gli atti di indagine sono secretati», spiegavano ieri alla presidenza del consiglio, «è fuorilegge che si apprenda di essere indagati dai giornali, curiosamente nel giorno in cui si è chiamati a riferire in parlamento, dopo aver chiesto informazioni all’autorità giudiziaria». Ciò che è accaduto ieri a Delmastro ha solo confermato le certezze.

SI ASPETTA MATTARELLA
«Chi pensa che a questo punto Giorgia si tiri indietro non la conosce», assicura chi le ha parlato ieri. La premier è sempre quella che in campagna elettorale disse «non sono ricattabile» al suo alleato Berlusconi, e la cosa vale a maggior ragione adesso dinanzi a certe procure. Si tira dritto, dunque: con tutte le riforme programmate («che semmai avranno un’accelerazione») e con la difesa di Santanchè e Delmastro. Così Sergio Mattarella, di ritorno domenica dal viaggio di Stato in Sud America, troverà a Roma un quadro incandescente, col governo che, in buona sostanza, accusa la procura di Milano di fare carne di porco del rispetto istituzionale dovuto ad un ministro. Sinora si è potuto permettere di seguire la vicenda da lontano, senza intervenire né parlare con i protagonisti, ma tutto lascia credere che il presidente del Csm non potrà ignorare a lungo ciò che sta avvenendo.

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