La pace fiscale «è al punto quattro del programma del centrodestra, è un punto qualificante di questo governo». Dopo alcuni giorni di inquietudini all’interno della stessa maggioranza, a fare chiarezza ci pensa il sottosegretario all’Economia in quota Lega, Federico Freni. Nessuna mossa propagandistica, dunque, nessuno «slogan acchiappa -voti», come è stata bollata la proposta avanzata da Matteo Salvini, ma solo la volontà di attuare uno dei cardini del programma di governo. Così, dopo i distinguo di alcuni esponenti di Fratelli d’Italia, la Lega si ricompatta attorno al suo leader. E rilancia sulla pace fiscale che, ricorda Freni, «non è un condono» perché riguarda «chi non ha potuto pagare» e non «chi ha omesso di dichiarare e ha frodato il fisco». «Per quelli» precisa il sottosegretario «servono le sanzioni».
La linea, insomma, è cristallina. E la ribadisce in tarda mattinata lo stesso Salvini da Cagliari. «Un fisco equo ed amico è un obiettivo dichiarato del programma elettorale del centrodestra» puntualizza, prima di declinare la sua proposta. «Io parlo a nome di milioni di italiani che hanno fatto la dichiarazione dei redditi e poi per i problemi che ci sono stati non sono riusciti a pagare quanto dovuto» ha spiegato il vicepremier, «piuttosto che tenerli come fantasmi in ostaggio chiediamo loro una parte del dovuto, lo Stato incassa e loro sono liberi».
LA PROPOSTA
L’idea di Salvini è quella di introdurre un saldo e stralcio per le cartelle sotto i 30mila euro, sulla scorta del provvedimento varato nel 2018 dal primo governo Conte: «Lo Stato italiano attende di riscuotere circa mille miliardi di euro da anni, se ne potrebbe chiedere una parte in modo che così queste persone possono tornare a lavorare e pagare le tasse». «Gli evasori totali» ha concluso a scanso di equivoci, «vanno in galera». Insomma, nessuna strizzatina d’occhio a chi, volontariamente, non paga le tasse. Il contrario di quanto denuncia, da giorni, l’opposizione, che ha brandito come una clava le dichiarazioni del direttore delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini, che lunedì, era intervenuto sul tema. «Il contrasto all’evasione non è volontà di perseguitare qualcuno» aveva detto Ruffini, aggiungendo che l’Agenzia da lui guidata non è «un’entità belligerante». Affermazioni da parte di un tecnico, peraltro confermato nel suo incarico dal governo Meloni, che sono subito apparse come una risposta indiretta alle parole di Salvini. Pur senza nominarlo, infatti, Ruffini si riferiva al ministro delle Infrastrutture, che sabato aveva detto che «milioni di italiani sono ostaggi dell’Agenzia delle Entrate». La polemica a distanza tra i due è stata cavalcata ieri dalla sinistra, con il presidente dei senatori Pd, Francesco Boccia, che ha chiesto l’audizione di Ruffini.
«In questi giorni» ha detto l’esponente dem, abbiamo «ascoltato il ministro delle Infrastrutture Salvini, che evidentemente ha sostituito il ministro dell'Economia Giorgetti e il viceministro allo stesso dicastero Leo, invocare addirittura la pace fiscale e descrivere i cittadini come ostaggi dell’attività dell’Agenzia delle Entrate». «Siamo di fronte» ha aggiunto «ad un evidente attacco ad un ente pubblico dipendente dal ministero dell’Economia. A questo punto crediamo sia utile un chiarimento in Parlamento, e per questo riteniamo importante audire il direttore dell’Agenzia, Ernesto Maria Ruffini». Il punto, però, è che il problema dei contribuenti in difficoltà con le imposte esiste ed è pure piuttosto esteso. I «tartassati» dal Fisco, come li ha definiti Salvini, sono 15 milioni. Tanti sono i contribuenti con debiti verso l’erario inferiori alla soglia dei 30mila euro.
Del resto, tra inflazione e aumenti delle rate dei mutui, gli italiani, come emerge da un sondaggio di Swg, fanno sempre più fatica a stare dietro agli appuntamenti fiscali. Il 22% dichiara infatti di aver ritardato il pagamento di tasse o imposte negli ultimi dodici mesi. Nel complesso (considerando anche affitti, mutui, bollette) il 35% afferma di essere stato costretto a sforare una scadenza. Per far fronte alle spese, quattro italiani su dieci (44%) hanno poi fatto ricorso a rateizzazioni, dilazioni o prestiti. Insomma, le difficoltà sono evidenti. Anche perché gli italiani devono al fisco una cifra mostruosa.
MAGAZZINO
Il valore in euro di quei 170 milioni di cartelle (di cui il 60% notificate prima del 2015) immobilizzate nei magazzini dell’Agenzia delle Entrate è impressionante: 1.153 miliardi. È la stessa Agenzia a ritenere molto difficile, se non impossibile, riscuotere il 90% di quella somma. Insomma, su oltre 1000 miliardi di debiti fiscali, si può pensare di recuperare, in modo realistico, appena 114 miliardi (10%). Basti pensare che 156 miliardi fanno capo a società o a ditte individuali fallite, mentre altri 168 miliardi li devono restituire contribuenti deceduti o aziende cessate.