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Salario minimo, il sondaggio smonta il Pd: solo l'1% prende meno di 8 euro l'ora

di Benedetta Vitetta giovedì 20 luglio 2023

 Elly Schlein

3' di lettura

La battaglia sul salario minimo che da settimane sta contrapponendo in un muro contro muro la maggioranza di governo alla sinistra continua senza sosta e oggi- a meno di colpi di scena dell’ultima ora - ci dovrebbe essere il voto sull’emendamento soppressivo depositato dal centrodestra. Votazione che avrebbe dovuto tenersi ieri ma che è stata fatta slittare a oggi. Noncurante della battaglia portata avanti dall’opposizione che, come ha ribadito ieri, la segretaria del Pd, Elly Schlein, continuerà a difendere l’idea «che serva contrastare il lavoro povero visto che, secondo l’Istat, 3,5 milioni di lavoratrici e lavoratori sono poveri anche se lavorano», l’esecutivo invece tira dritto e ha già archiviato la questione. Del resto le dichiarazioni rilasciate ieri dal vicepremier azzurro, Antonio Tajani, non lasciano spazio a qualunque tipo di dibattito: «Il salario minimo voluto dalla sinistra è un sistema vetero-socialista che abbassa il salario, non lo aumenta» ha affermato Tajani, «distrugge la meritocrazia e livella tutto in basso. Noi, invece, vogliamo che il lavoratore guadagni bene, non che si abbia lo stipendio tutti uguale come si faceva in Unione Sovietica».

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LA CONFERMA DEL CNEL
E a smontare definitivamente la campagna dei partiti di minoranza ci ha pensato ieri uno studio realizzato da Unimpresa che spiega che già oggi in Italia 8 lavoratori su 10 prendono già un salario superiore a 9 euro l’ora. E se il 18% ha uno stipendio d’ingresso compreso tra gli 8 e i 9 euro, solo l’1% dei lavoratori ha un contratto che stabilisce una paga oraria sotto quota 8 euro. E tutto questo è garantito nel Belpaese da un sistema vasto e particolarmente capillare di contrattazione collettiva, che, a fine 2022, vede 946 contratti collettivi nazionali di lavoro (Ccnl) depositati al Cnel e copre, su un totale di circa 13,2 milioni di lavoratori dipendenti privati, ben 12,8 milioni di persone, ossia il 97% del totale degli addetti.

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Cosa, tra l’altro, confermata pure dal Cnel in una sua recente memoria: «...Evidenze che mostrano bene come non vi sia, nel nostro Paese, un problema di fissazione di minimi adeguati, dato che la contrattazione collettiva pare in grado di garantire fli stessi...». Tornando agli esperti di Unimpresa il salario minimo non produrrebbe alcun effetto miracoloso per i lavoratori (l’incremento medio mensile di quell’1% che prende meno di 9 euro l’ora vedrebbe il salario crescere di circa 50 euro netti), ma semmai produrrebbe danni. «Già perché, così facendo» ha detto Giovanni Assi, consigliere nazionale Unimipresa, «si produrrebbe solo un aumento del costo del lavoro stimato in oltre 6,7 miliardi che avrebbe un impatto negativo specie per le pmi (ossia il 97% delle aziende italiane, ndr) riducendone la competitività nei mercati internazionali con conseguenze che non è difficile immaginare: riduzione di manodopera e ulteriore ricorso al sommerso, la vera piaga sociale».


Ecco quindi che, contrariamente a quanto sostiene la sinistra, il salario minimo sarebbe non soltanto inutile, ma finanche dannoso. Per recuperare il potere d’acquisto dei salari servono politiche che incidano sul cuneo fiscale. Misure che puntino all’ampliamento del welfare aziendale (innalzando la soglia di fringe benefit a 3mila euro per tutti i lavoratori dipendenti e quelli con un reddito assimilato al lavoro dipendente), azzerando le imposte sui premi di produttività fino a 6mila euro l’anno e detassando totalmente gli aumenti salariali che derivano dalla contrattazione di II livello. Così se un Ccnl fissa un minimo salariale di 10 euro l’ora e l’azienda, in base a una contrattazione di II livello, corrisponde al lavoratore 12 euro l’ora, quei 2 euro sarebbero esenti da contribuzione e tassazioni. Ed entrerebbero in tasca al lavoratore.

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