Molto noto al pubblico dei talk show televisivi Vittorio Emanuele Parsi è professore ordinario di Relazioni internazionali all’Università Cattolica del Sacro Cuore e direttore dell’Alta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali, ma anche Capitano di Fregata di Stato Maggiore della Riserva. Una doppia competenza che lo rende la persona più adatta a fornire un parere sull’evoluzione della guerra in Ucraina.
È vero che la tanto annunciata controffensiva si è già arenata?
«Mi sembra molto prematuro parlare di un fallimento della controffensiva. Mi pare che la controffensiva si stia sviluppano con prudenza, perché l’Ucraina è un Paese democratico, per quanto in guerra. C’è dunque l’attenzione di non sacrificare inutilmente le truppe, tanto più quelle ben addestrate, e c’è l’attenzione di non sprecare inutilmente i materiali occidentali ricevuti».
Ma ce la può fare l’Ucraina?
«Il futuro è sempre sulle ginocchia degli dei, ma se l’Unione Europea mantiene quello che ha programmato di fare, cioè i progetti di sostegno finanziario e militare all’Ucraina per 5 miliardi all’anno nei prossimi quattro anni, allora direi che le prospettive sono buone, viste le condizioni dell’esercito russo e le condizioni di oggettiva difficoltà del sistema politico russo al suo interno. Non è che possiamo fare finta che tutto quello che ha fatto Prigozhin non sia successo, o che il rublo non sia precipitato a meno di un centesimo di euro».
La domanda che però viene da porsi, visto che è un conflitto stile Prima Guerra Mondiale in cui si combatte con molti morti per avanzate di poche decine di km, è se alla fine la guerra non sarà determinata, più che da un crollo militare, da un crollo politico del fronte interno. La Russia sta messa male, ma anche il consenso occidentale dipende da risultati elettorali che possono essere volatili.
«Sì, ma il fronte interno ucraino è molto solido e lo ha dimostrato in questo anno e mezzo abbondante. Non ci sono elementi di cedimento. Il fronte interno russo è molto complicato da capire, perché la Russia è un autoritarismo. È difficile cogliere i segnali in maniera manifesta. Ma guardando appunto quello che è successo in questi mesi e incrociando un po’ di dati ho la sensazione che la Russia sia molto meno in grado di sostenere uno sforzo prolungato di questo tipo. Questa guerra, sì, ricorda la Prima Guerra Mondiale, con questa prevalenza della difesa. Ma se andiamo a guardare tutte le guerre che ci sono state negli ultimi 10 anni, possiamo vedere come il difensore ha un sostanziale vantaggio rispetto all’aggressore. I Talebani hanno sconfitto una coalizione militare avendo una sproporzione di armi e di sostegno pubblico, rispetto alla coalizione occidentale, spaventosa. La cosa che abbiamo imparato nelle guerre di questo secolo è che chi difende ha un vantaggio su chi attacca molto più grande di quanto fosse convenzionalmente conosciuto. Inoltre in questo caso rispetto a una guerra in trincea stile 14-18 abbiamo in più congegni militari che sono molto diversi. I droni antimissile sono quelli che hanno più colpito l’immaginario. Sulla tenuta delle opinioni pubbliche occidentali, non c’è dubbio che il calcolo di Putin è questo. Moltiplicare il più possibile i problemi delle società e dei sistemi politici occidentali. La guerra del grano si inquadra in questa direzione. La sua propaganda è che questa guerra la Russia non può perderla. Ma io credo che tutte queste cose che vengono dette siano semplicemente irrealistiche e che se c’è un Paese che non può vincere questa guerra è la Russia».
Vari analisti sostengono che se l’Occidente armasse fino in fondo l’Ucraina l’Ucraina vincerebbe, però l’Occidente ha paura del vuoto di potere che si può creare in Russia in caso di sconfitta militare. Quindi starebbe cercando un qualche punto di equilibrio.
«Non credo. Per noi il punto del ritiro di Putin dall’Ucraina è irrinunciabile, dopo un anno e mezzo di guerra. I russi ci hanno messo un anno e mezzo a avanzare fino a dove sono avanzati e dopo due settimane sono arretrati, per una superficie pari a quella che hanno occupato negli ultimi sei mesi. A questo punto per noi Putin rappresenta in realtà un problema, non un elemento della soluzione. Non saremo certo noi a puntellare il potere di Putin. Quando sento dire che può arrivare qualcuno peggio di Putin, penso: e chi può essere peggio di Putin? È uno che ha mentito sistematicamente a tutti i partner, che ha scatenato una aggressione senza alcun motivo valido, che conduce una guerra barbara, che deporta bambini, che affama la popolazione del Terzo Mondo, non lo so. Peggio di così chi può venire? L’orco cattivo?».
Prigozhin, ad esempio.
«Prigozhin non aveva nessuna intenzione di sostituire lui Putin. Nessuna possibilità. Quando pensiamo a una sostituzione di Putin pensiamo che nella cerchia di Putin qualcuno ne deve prendere il posto. Potrebbe essere uno più falco di lui? È una possibilità. Ma c’è anche la possibilità che al posto di Putin vada qualcuno che una volta nella stanza dei bottoni stia attento ai costi che sta infliggendo al suo Paese. La cosa che anche i russi sanno benissimo è che non tanto in termini di concessioni territoriali, perché questo è fuori discussione, ma in termini di prezzo che la Russia dovrà pagare alla fine di questa guerra per raggiungere comunque una forma di assestamento, un successore di Putin potrebbe avere uno sconto che Putin non avrà mai».
Ma l’Ucraina riuscirà a riprendersi i confini internazionalmente riconosciuti?
«Questo è molto complicato da prevedere. Questa guerra probabilmente si concluderà attraverso un combinato disposto di pressione militare sul fronte, e implosione politica del fronte interno. Io credo che si potrebbe recuperare quella che era la prima formulazione del piano di Zelensky, cioè un ritorno ai confini del 2014, tranne la Crimea. La Crimea la si sottopone a un controllo internazionale, con lo scopo di arrivare poi nell’arco di un tempo lungo, anche 10 anni, a trovare una soluzione anche a questa porzione di territorio».