«Sono d’accordo con quanto affermato dal ministro Salvini: stiamo attraversando una fase complessa perché stanno aumentando le diseguaglianze sociali. Ci dobbiamo dare tutti da fare per ridurle e aiutare le fasce più deboli della popolazione». Inizia così, con questo endorsement al governo, la conversazione con Lando Sileoni, sindacalista, che da 13 anni è il segretario generale della Fabi (federazione autonoma dei bancari) e che sulla tassazione degli extraprofitti delle banche - materia che conosce assai bene - ha le idee molto chiare.
Lei ha dichiarato che il provvedimento del governo di tassare gli extraprofitti delle banche non è un atto illiberale come contestano molti. Perché?
«Sarebbe stato un provvedimento non liberale se avesse colpito, in generale, tutti gli utili delle banche.
Quella del governo, invece, è una operazione chirurgica su una specifica fonte aggiuntiva dei ricavi, generati solo premendo un tasto sui sistemi informatici e alzando i tassi applicati ai prestiti».
Il mercato, per definizione, dovrebbe essere libero. Decidere quale debba essere la proporzione tra interessi richiesti per i prestiti e interessi elargiti per i depositi non lo ritiene un atto illiberale?
«Le banche hanno beneficiato di una situazione straordinaria, innescata dall’aumento del costo del denaro deciso dalla Banca centrale europea che in 12 mesi ha alzato i tassi da zero al 4,25%. Non era mai accaduto. Il punto è che le banche hanno fatto salire solo i tassi a carico di famiglie e imprese con mutui e prestiti, mentre hanno lasciato a livello quasi zero la remunerazione su depositi e conti correnti. La politica monetaria della Bce, insomma, è andata tutta a vantaggio del settore bancario e poco o nulla è stato restituito alla clientela.
Tutto questo senza rischi: dove sta il mercato?».
Non le sembra che la logica sia simile a quella di chi invoca una patrimoniale?
«No, affatto. Le patrimoniali per definizione aggrediscono i patrimoni, cioè beni fermi. Il governo, invece, ha deciso di intervenire su proventi straordinari che, peraltro, non hanno nulla a che vedere con la logica di impresa, proprio perché generati dal semplice azionamento di sistemi informatici. Mi lasci dire che queste sono scelte che in banca vengono assunte dai vertici e che le lavoratrici e i lavoratori subiscono al pari della clientela».
La Borsa oggi si è ripresa, ma non c’è il rischio che alla lunga le conseguenze di questa tassa siano la riduzione degli investimenti e dunque il rallentamento dell’economia?
«Non credo ci sarà un danno rilevante né conseguenze negative di lungo periodo».
La Finanza è sempre demonizzata. Però è difficile immaginare uno sviluppo dell’impresa senza un sistema solido della Finanza. Non crede?
«La finanza è fondamentale perché può rappresentare la cinghia di trasmissione tra le banche centrali e l’economia reale. Negli ultimi anni, però, la politica è diventata subalterna alla finanza e alle banche che hanno pensato troppo ai loro interessi e a distribuire dividendi importanti agli azionisti. Sta svanendo il ruolo sociale che le banche devono tornarea esercitare come in passato. E la politica deve essere più attenta all’evoluzione del settore bancario, non considerarlo solo se servono fondi».
È fondata la paura avanzata da molti, che questa tassazione possa ricadere nelle tasche dei correntisti?
«Il rischio teorico c’è. Sono convinto, tuttavia, che da parte degli amministratori delegati delle banche prevarrà il senso di responsabilità e di attenzione al sociale che hanno dimostrato di avere in più di una occasione anche recentemente».
Il nostro sistema bancario è solido. C’è qualche rischio che questa misura possa minarne la solidità?
«Non vedo pericoli da questo punto di vista. Negli ultimi anni il settore bancario italiano ha migliorato tutti i coefficienti patrimoniali, ridotto i rischi di credito e aumentato la redditività. La solidità non è messa in discussione».
Il 40% le sembra una percentuale di prelievo ragionevole?
«Secondo le ultime indicazioni, il prelievo fiscale non supererà mai lo 0,1% degli attivi delle banche. Vuol dire circa 3 miliardi di euro al massimo. Mi pare una somma che le banche che solo nel 2022 hanno generato utili per 25 miliardi, potranno facilmente reperire senza contraccolpi».
I rialzi della Bce stanno mettendo in ginocchio milioni di italiani e aziende che fondano la loro esistenza sui prestiti bancari. Questa soluzione era l’unica possibile? La più giusta?
«I rialzi sono stati troppo repentini, questa ormai è una opinione condivisa. Per contrastare l’inflazione vanno rinnovati soprattutto i contratti di lavoro scaduti. Dobbiamo far crescere il potere d’acquisto degli stipendi che è fermo a più di 20 anni fa».
Secondo lei è fondato il timore che l’incertezza generata dalla mossa del governo possa scoraggiare gli investimenti dall’estero?
«C’è un tema di comunicazione: il governo dovrebbe chiarire che si tratta di una misura eccezionale, non ripetibile. In questo modo verrebbero spazzati via tutti i timori».