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Tassa sulle banche, come funziona: mossa del governo per alzare gli stipendi

di Michele Zaccardi mercoledì 9 agosto 2023

4' di lettura

Le cifre sul gettito sono ancora ballerine: la forchetta oscilla infatti tra i 2 e i 7 miliardi di euro. Di sicuro, al momento, c’è che la decisione del governo, annunciata lunedì sera, di tassare gli extraprofitti delle banche, con l’obiettivo di tagliare le imposte e alleggerire le rate dei mutui sulla prima casa, ha fatto sprofondare in borsa i titoli del settore. In totale, gli istituti di credito hanno perso 9 miliardi di capitalizzazione, con Bper e Mps che hanno lasciato sul terreno poco meno dell’11%, Banco Bpm oltre il 9%, mentre Intesa l’8,67% e Unicredit quasi il 6%. Sull’onda dei ribassi delle banche, che hanno un peso preponderante nel paniere, Milano ha chiuso in flessione del 2,11%, mettendo a segno il peggior risultato in Europa. Insomma, ieri a prevalere, tra gli operatori, è stata la sorpresa: nessuno si aspettava che l’ultimo consiglio dei ministri prima della pausa estiva partorisse un provvedimento per tassare gli istituti di credito.

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L’IPOTESI

La bozza del decreto “Asset”, circolata nei giorni scorsi, non conteneva traccia della norma, che è stata aggiunta all’ultimo e poi modificata diverse volte in senso più favorevole alle banche. In realtà, l’ipotesi era già circolata da tempo. Tant’è che ai primi di maggio, l’amministratore delegato di Intesa, Carlo Messina, si era detto favorevole. «Osserveremo con rispetto ogni decisione presa dal governo» aveva dichiarato il manager, auspicando che i prelievi fossero «utilizzati per far fronte all’emergenza sociale e alla crescita delle diseguaglianze». Ma la sua era da subito parsa una voce isolata nel panorama bancario. E se la premier ha difeso il provvedimento, definito «una scelta obbligata di giustizia sociale», la sensazione tra i banchieri è che sia una tassa iniqua. Il ragionamento che fanno in molti, insomma, è che in questo modo si va a colpire un comparto strategico, che detiene circa il 25% del debito pubblico, 690 miliardi di euro a fine aprile secondo Bankitalia, e che contribusce quindi in misura massicca al finanziamento dello Stato.

Senza contare che la decisione arriva dopo che, con la pubblicazione dei risultati record del secondo trimestre di quest’anno, tutti gli istituti hanno annunciato i dettagli dei piani di remunerazione degli azionisti, tra maxi cedole e buyback (riacquisti di azioni proprie). Ma c’è pure il timore che l’incertezza generata dalla mossa del governo possa scoraggiare gli investimenti dall’estero. Lo sottolineano anche gli analisti di Ig, secondo cui il prelievo , si legge in una nota, è «una misura fortemente negativa per il settore» che «mette un punto di domanda sulla capacità del nostro settore finanziario (e non solo) di attrarre capitali esteri e riduce la competitività delle nostre banche rispetto ai peer europei».

Certo, nell’ambiente, sono in pochi a esporsi. Quasi tutti si trincerano dietro un no comment: si aspetta di leggere il decreto una volta pubblicato in Gazzetta Ufficiale. Solo allora si avrà infatti certezza sui dettagli: anche perché la norma è già cambiata rispetto a lunedì sera. Ieri, a mercati chiusi, una nota del Ministero dell’Economia ha fatto sapere che verrà introdotto un tetto al prelievo, che non potrà superare lo 0,1% del totale degli attivi (prestiti e titoli) in pancia agli istituti. Per placare il polverone, poi, il comunicato sottolinea che le banche che «hanno già adeguato i tassi sulla raccolta (i conti corrente, ndr) così come raccomandato» a febbraio da Bankitalia, e poi dal titolare del Tesoro, Giancarlo Giorgetti, durante l’assembla Abi del 5 luglio, «non avranno impatti significativi come conseguenza della norma approvata».

In ogni caso, il testo attuale prevede di tassare al 40% il maggior margine di interesse (ovvero la differenza tra i tassi sui depositi e quelli sugli impieghi applicati dagli istituti), registrato nel 2022 o nel 2023 (il valore più alto) rispetto al 2021, con una franchigia fissata rispettivamente al 5 e al 10%. Molto propabile che la scelta cadrà, alla fine, sul 2023, un anno d’oro per i conti degli istituti. L’aumento del costo del denaro deciso da Francoforte, che a fine luglio ha portato i tassi al 4,25% , ha infatti gonfiato questa voce dei bilanci bancari, al punto che, alla fine del primo trimestre 2023, i guadagni da interessi netti hanno rappresentato quasi il 59% dei ricavi realizzati dalle 111 banche europee sorvegliate dalla Bce. Da qui dunque la scelta del governo di intervenire con un prelievo che sarà versato nel 2024.

LE STIME

Le stime su quanto potrebbe incassare lo Stato, però, divergono parecchio. Il vicepremier Matteo Salvini, nell’annunciare il provvedimento («una norma di equità sociale», giustificata dal mancato aumento dei tassi sui conti corrente), ha stimato il gettito in «alcuni miliardi» di euro, mentre fonti di Palazzo Chigi parlano di 2,5-3 miliardi. Ben più alti i numeri calcolati dagli analisti finanziari. Mediobanca Securities sostiene che l’impatto va «molto oltre i 3 miliardi». La banca Usa Jefferies stima invece un conto da 4,9 miliardi, che andrebbe ad intaccare in modo «considerevole ma gestibile» la solidità patrimoniale degli istituti italiani, con una riduzione del capitale di vigilanza dello 0,6%, su un valore medio superiore al 15%. Stadi fatto che, sul provvedimento, potrebbe arrivare a breve anche il parere negativo della Bce, che lo scorso novembre aveva criticato una tassa analoga da 3 miliardi di euro varata dal governo spagnolo. Il Ministero dell’Economia ha comunque ricordato in serata che il prelievo «nasce sulla scia di norme già esistenti in Europa in materia di extra margini bancari». 

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