A due giorni dall’appuntamento tra governo e opposizioni sul salario minimo, il clima- a dispetto della stagione - si fa freddino. Per non dire gelido. Tanto che, ieri sera, c’era chi scommetteva che l’incontro, previsto per domani, finirà nel nulla. Motivo per cui, a sera, Carlo Calenda, quello che più di tutti ha scommesso su un’intesa, chiedeva a tutti di «abbassare i toni». A cambiare il vento sono state le parole pronunciate da Giorgia Meloni nel nuovo appuntamento con l’“agenda di Giorgia”, su Facebook. La premier ha espresso i suoi dubbi sulla proposta delle opposizioni, che doveva essere il punto di partenza dell’incontro di domani. «Perché non abbiamo accolto la proposta delle opposizioni sul salario minimo legale come è stata presentata?», si chiedeva Meloni. Risposta: «L’Italia è considerato un Paese virtuoso perché abbiamo un’altissima percentuale di lavoratori coperti dalla contrattazione collettiva. Se decidessi di stabilire per legge una cifra minima oraria per tutti, che inevitabilmente dovrà stare nel mezzo, mi ritroverei con un salario minimo legale che in molti casi potrebbe essere ragionevolmente più basso del minimo contrattuale previsto per diversi di questi contratti nazionali». Il rischio è che le condizioni dei lavoratori peggiorino.
LE BORDATE
Il primo a reagire, su Twitter, è stato Riccardo Magi, segretario di +Europa, chiedendosi «che senso abbia l’incontro di venerdì con le opposizioni a Palazzo Chigi. Se c’è la volontà di aprire alla nostra proposta bene, altrimenti non regaleremo a questo governo una passerella». Subito dopo usciva la nota di Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni, di Alleanza Verdi e Sinistra, nella quale si definiva il video di Meloni una «provocazione». «Continuare a sostenere che il salario minimo porterà verso il basso anche gli altri contratti di lavoro significa dire il falso o dimostra che anche la presidente del Consiglio non ha letto la nostra proposta. Cosa ci ha convocato a fare?». Nel tardo pomeriggio è la volta di Giuseppe Conte, che esprime le stesse perplessità.
Le parole della Meloni, dice il leader del M5S, usano «argomentazioni infondate e risibili». Su tutte, «quella in base a cui col salario minimo si abbasserebbero gli stipendi». Per Conte si tratta di una «fake news in piena regola, che dimostra come Meloni non abbia letto neppure una riga della nostra proposta. Che è chiara: se un contratto collettivo prevede una retribuzione per un lavoratore di 5 euro l’ora, con la nostra proposta quella retribuzione sale a 9. Se prevede 11 euro l’ora, rimane a 11. Non scende certo a 9». Conclusione: «L’incontro di venerdì si preannuncia in salita. Il governo non sembra volersi smuovere dai suoi pregiudizi». Ma «non ci fermiamo, vorrà dire che proverò a spiegare come stanno le cose con dei grafici». Da ultimo (ma in realtà non sarà così), esce anche il Partito democratico, segno di un travaglio che c’è stato nel decidere cosa dire, come e chi far parlare. Alla fine si decide che a dichiarare non sarà Elly Schlein, ma Arturo Scotto, ex Articolo 1: «Le dichiarazioni di Giorgia Meloni dimostrano che non ha letto la nostra proposta. Il salario minimo va fatto per legge, nessuno deve lavorare sotto i 9 euro l’ora e la contrattazione collettiva va rafforzata. Questo c’è scritto nel testo e questo le ribadiremo con forza a Palazzo Chigi». A sera inoltrata “fonti del Pd” si chiedono: «Qual è la strategia di Meloni? Prima convoca l’incontro e poi cerca l’incidente per farlo saltare?».
L’APPREZZAMENTO
In controtendenza il governatore dell’Emilia Romagna, Stefano Bonaccini: «Ho apprezzato che Meloni abbia aperto all’incontro, credo si debba fare di tutto per ottenere il risultato». Bonaccini aggiunge: «Secondo me, Meloni ha capito che nel Paese la gran parte degli italiani, indipendentemente da chi votano o hanno votato, non tollerano che duri ancora troppo la situazione nella quale oltre tre milioni di persone, spesso giovani e giovanissime, ragazzi e ragazze, lavorino a due-tre-quattro euro l'ora lordi senza alcuna tutela e dunque con stipendi da fame e senza diritto». Su Twitter Calenda, dicevamo, poco prima invitava tutti a «tenere i toni bassi prima dell’incontro». Perché è vero che «sedersi intorno ad un tavolo insieme, senza pregiudizi e preconcetti, è per tutti difficile» e «che la tentazione di restare chiusi nelle rispettive trincee è rassicurante». Ma «cercare un accordo è un atto di responsabilità nei confronti del Paese e di 3,5 milioni di lavoratori poveri. Proviamoci con buona volontà». Reazioni diverse. Segno di interessi (e obiettivi) diversi. Intanto a Napoli si è svolta la manifestazione dei disoccupati e dei percettori del reddito di cittadinanza, durante la quale sono stati intonati cori contro il governo e la premier.