Per capire davvero chi fosse padre Paolo Dall’Oglio, il gesuita scomparso dieci anni fa in Siria, bisogna essere stati a Deir Mar Musa. Il monastero collocato nel bel mezzo di un deserto montuoso 80 chilometri a nord da Damasco arroccato a un’altitudine di 1350 metri nel nord del massiccio del Qalamoun. Intitolato a San Mosè l’Abissino questo complesso religioso era stato abbandonato nel XIX° secolo. Nel 1982, quasi per caso, Padre Paolo trovò i ruderi della Chiesa edificata nel lontano VI° secolo. Dopo alcune notti passate all’aperto decise di riedificare la Chiesa prima e il monastero poi. Qui diede vita alla comunità monastica “al-Khalil di Deir Mar Musa al-Habachi”. La particolarità di questo luogo non è legata alla quasi inaccessibilità (bisogna salire ben 400 scalini tra le rocce) ma perché quarant’anni fa Padre Paolo ne fece un luogo prediletto per il dialogo interreligioso tra Cristianesimo e Islam.
Era consuetudine per i pellegrini che lo andavano a trovare vedere cristiani e musulmani pregare fianco a fianco facendo del monastero un simbolo di coesistenza che richiamava sempre più persone. Tutti gli ospiti ricevevano gratuitamente vitto e alloggio. Un’ospitalità semplice ma generosa. Il massimo della celebrità Mar Musa la raggiunse nel 2010 quando almeno trentamila visitatori raggiunsero il monastero. L’anno dopo iniziò la tragedia della Siria: le proteste antiregime, la repressione, l’espulsione di padre Dall’Oglio dal suo amato monastero e, infine, la scomparsa del gesuita nel 2013 presumibilmente a Raqqa, la “capitale” dello Stato Islamico (ISIS) dove pare di fosse recato clandestinamente per ottenere il rilascio di persone rapite o illegalmente detenute.
Nel 2015 lo stesso monastero era finito nel mirino dell’ISIS quando i jihadisti, che ormai spadroneggiavano nella regione, sequestrarono anche un altro sacerdote (padre Jacques Mourad) che riuscì però a scappare. Sconfitta l’ISIS dalle truppe regolari siriane supportate dall’esercito russo, nel 2020 è subentrata la pandemia che ha mantenuto isolata Mar Musa per altri tre anni. Grazie al miglioramento politico e quello sanitario il monastero adesso è stato riaperto. Raggiungere questo luogo di pace, sferzato dal sole e dal vento, ha un grande significato che va oltre al panorama mozzafiato o alla vista delle icone e pitture murarie considerate tra i più antichi affreschi dell’Oriente cristiano e risalenti all’XI e XII secolo.
L’assenza di Padre Dall’Oglio oggi è anche presenza. Resta, infatti, un esempio della necessità del dialogo religioso tra Cristianesimo e Islam. Una missione alla quale ha dedicato tutta la sua vita. Quando ancora giovane studente di seminario si recò in Libano spiegò ai familiari: «Non vado a studiare l’arabo ma a farmi arabo». E da arabo aveva capito che le società mediorientali per evolversi dovevano avere uno sguardo religioso e riconoscere in ognuno la dignità dell’uomo amato da Dio. Cresciuto in quel Libano attraversato dalla guerra civile era diventato coraggioso ambasciatore della rivoluzione che sembrava destinata a cambiare la Siria, rivoluzione tradita da tutti e finita in mano ai terroristi islamici. L’idea di abuna Paolo di contrastare tanto i regimi tirannici che l’integralismo islamico così come l’islamofobia si è rivelata un’utopia che attende ancora di essere realizzata.