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Se lo dice Mattarella le etnie esistono, quando l'ha detto Lollobrigida...

di Pietro Senaldi domenica 27 agosto 2023

3' di lettura

Non conta la parola, ma chi la dice. Quel che nella bocca di un esponente di Fratelli d’Italia può suonare come un vocabolo razzista, se arriva da un presidente di provenienza Pd diventa un invito all’accoglienza. Prendete il termine “etnia”, che indica un insieme di persone le quali condividono caratteristiche culturali, linguistiche, sociali, fisico-somatiche, storiche, geografiche e religiose. Quando la primavera scorsa il ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, disse che il governo avrebbe spinto sulla natalità, perché «l’etnia italiana va salvaguardata» e non si può pensare di sostituirla con popolazioni che arrivano da altre parti del mondo, fu assalito. Elly Schlein definì le sue parole «disgustose» e molti commentatori gli diedero del nazista, sostenendo che quello della sostituzione etnica fosse un mito primatista. Nessuno si concentrò sulla premessa del ministro, che si era detto a favore dell’immigrazione regolare, limitandosi ad aggiungere che comunque era dovere del governo difendere l’identità italiana. La sinistra arrivò a negare perfino l’esistenza delle etnie, equiparandole alle razze, e cancellando decenni di retorica progressista in favore della società multietnica, che non potrebbe mai esistere, se mancassero le etnie.

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Due giorni fa gli stessi negazionisti del vocabolario, si sono invece spellati le mani quando Mattarella ha dato per scontata l’esistenza delle etnie, affermando che l’Italia sarebbe «nata da etnie e tradizioni diverse». Affermazione più politica e tendenziosa che storica e realistica perché l’Italia, più o meno nei suoi confini attuali, la misero insieme gli antichi romani, e questo dalle parti del Quirinale sospetto ben si sappia. Si chiamava Ager Romanus e, nella sua interezza peninsulare, era considerata dagli eredi di Cesare come la loro terra patria. Per questo aveva uno status giuridico unico e distinto da quello di qualsiasi altro territorio. Era peraltro sufficientemente omogeneo da mantenere una propria compattezza etnica malgrado quattrocento annidi invasioni barbariche.

Al di là delle divagazioni storiche, quel che conta è il concetto. L’etnia italiana esiste ed è talmente forte da aver assimilato qualsiasi contaminazione e aver resistito a mille e cinquecento anni di dominazioni, divisioni e campanilismi. La dichiarazione del Capo dello Stato è stata festeggiata dall’opposizione come uno spot all’immigrazione, e quindi una pedata al centrodestra. Ma anche questa reazione è una forzatura. Stati Uniti, Australia e Brasile sono sicuramente tra le nazioni più multietniche al mondo, ma nonostante ciò, anzi forse probabilmente proprio a causa di questo, hanno regole severissime contro l’immigrazione irregolare. La lotta ai clandestini non è questione di razzismo ma di ordine sociale.

Gli Stati, per reggersi, hanno bisogno di regolamentare i flussi migratori, tant’è che contrastiamo le entrate fuori legge come fenomeno, che vengano dall’Africa, dal Sud America o dall’Oriente, senza badare a provenienze, fede religiosa o colore della pelle. L’antirazzismo è stata solo una scusa usata dalla sinistra, quando era al governo, per giustificare un fenomeno, quello dell’immigrazione illegale, che non sapeva gestire e pertanto benediceva. Anche oggi, malgrado al governo ci sia il centrodestra, quella dei clandestini è un’emergenza. L’unica consolazione è che questo esecutivo la vive come tale e non come una manna dal cielo. L’opposizione incalza e accusa di incapacità la maggioranza perché quest’anno gli arrivi si sono triplicati rispetto ai tempi del Covid. Abbastanza prevedibile, visto che non c’è più l’epidemia. Quel che non dicono i critici è che lo scenario negli ultimi due anni, tra guerre e crisi alimentari, è completamente mutato. Nel 2023 supereremo largamente il tetto dei centomila arrivi, ma anche se il numero è alto, è un mezzo successo, visto la drammaticità della contingenza mondiale. Non è una scusa, ma una constatazione, che non esime il governo dal dovere di rimboccarsi le maniche.

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