Accompagnare a casa di Silvio Berlusconi un magistrato che voleva solo parlarci non è “reato”. Lo ha stabilito la Cassazione che ieri ha annullato la condanna disciplinare alla perdita di due anni di anzianità nei confronti del giudice Cosimo Ferri, all’epoca dei fatti sottosegretario di Stato al ministero della Giustizia nel governo di Enrico Letta. La vicenda ebbe inizio all'indomani della decisione della Cassazione di rigettare, il primo agosto del 2013, il ricorso proposto da Berlusconi contro la sentenza di condanna a 4 annidi reclusione emessa dalla Corte d'appello di Milano nel processo su diritti tv-Mediaset. Una decisione che aveva comportato, per effetto della legge Severino, la decadenza di Berlusconi da parlamentare. Franco, relatore di quella sentenza e poi deceduto nel 2019, conoscendo Ferri da tempo, gli aveva allora chiesto un appuntamento con Berlusconi. «Abitava vicino al ministero e un giorno lo incrocio. Era un po’ agitato e mi chiede: “Sei in grado di prendermi un appuntamento con Berlusconi visto che sei sottosegretario?”. Mi dice che ci teneva molto ad incontrarlo. Gli rispondo affermativamente: “Sì, sì, lo prendo, sento”. Ci sono stati due incontri: uno velocissimo e un altro più lungo, dove li ho lasciati lì a parlare tra di loro», dirà poi Ferri.
FERMEZZA
Durante uno di questi incontri, avvenuti tra la fine del 2013 e la prima settimana di febbraio del 2014, Franco era stato durissimo nei confronti dei componenti del collegio della Cassazione, presieduto da Antonio Esposito, attuale editorialista del Fatto Quotidiano, affermando di non averne condiviso, pur essendo stato relatore, la decisione di condannare Berlusconi. La vicenda era diventata di pubblico dominio nell’estate del 2020 con alcuni articoli sui principali quotidiani che avevano riportato ampi stralci di quei colloqui nei quali Franco descriveva il collegio come un «plotone d’esecuzione», costituito da «quattro ultimi arrivati che non capivano niente». I colloqui erano stati registrati dallo staff di Berlusconi, all’insaputa dello stesso Franco e di Ferri.
Immediatamente, era stato aperto un procedimento da parte della Procura di Roma, conclusosi con un nulla di fatto e senza che l’ex premier fosse mai stato interrogato. Gli atti, allora, erano stati trasmessi alla Procura generale della Cassazione per esaminare la condotta disciplinare di Ferri, accusato di «grave scorrettezza» verso i colleghi che avevano composto il collegio, per aver accompagnando uno dei giudici che aveva firmato la sentenza a casa del suo imputato. In particolare, la «grave scorrettezza» di Ferri sarebbe stata finalizzata a rivelare i contenuti della Camera di Consiglio per favorire le iniziative più opportune da parte di Berlusconi.
VITTIMA
Ad esempio, affermando che Ercole Aprile, uno dei componenti del collegio ed esponente di Magistratura democratica, il gruppo delle toghe di sinistra, era in procinto di candidarsi al Csm dove poi sarà effettivamente eletto. Con ciò, secondo il Csm, «confermando la tesi di Berlusconi di essere vittima di un complotto da parte di una corrente della magistratura». «Si trattava di opinioni espresse in un incontro privato», aveva invece fatto sapere l’avvocato Luigi Panella, legale di Ferri. Dello stesso avviso, come detto, la Cassazione che ne ha accolto le argomentazione difensive, rimandando gli atti al Csm per un nuovo giudizio disciplinare.
«Sia la mera partecipazione che la organizzazione di riunioni private costituiscono oggetto di un diritto costituzionale, il cui esercizio non è sindacabile sotto il profilo dello scopo e dell’oggetto della riunione, come si desume dal fatto che la Costituzione lo esclude implicitamente anche per le riunioni in luogo pubblico, per le quali pone limiti soltanto per comprovati motivi di sicurezza o incolumità pubblica», si legge nella sentenza. Tornando, invece, all’audio incriminato, nel marzo del 2016 la bobina era stata depositata alla Cedu dagli avvocati di Berlusconi dove era pendente il ricorso contro la sentenza di condanna, poi ritirato prima delle decisione.