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11 settembre, la lezione mai imparata dall'Europa

di Antonio Socci lunedì 11 settembre 2023

4' di lettura

Un altro 11 settembre. Ma, dopo 22 anni, possiamo dire che si è capita la lezione? Non sembra. Gli americani hanno dato la loro durissima risposta militare agli attentati del 2001. Ma “lo scontro delle civiltà”, per dirla con Samuel Huntington, era ed è anzitutto culturale. E su questo fronte l’Europa sta perdendo. Perché ripudia sempre più la sua identità, mentre cresce l’Eurabia. Qualche anno fa Giulio Meotti, in un suo libro, rilevava che «a Bruxelles, la capitale dell’Unione Europea, i sette nomi maschili più comuni sono già oggi Mohammed, Adam, Rayan, Ayoub, Mehdi, Amine e Hamza». E aggiungeva: «I dati demografici sono inequivocabili: l’Europa sta “morendo”». Il crollo demografico dei popoli europei e l’aumento dell’immigrazione islamica sono due fenomeni che hanno portato un analista del Dipartimento di Stato Usa a prevedere che l’Europa, entro il 2050, sarà al 20 per cento musulmana.


Ovviamente queste popolazioni hanno tutto il diritto di professare la loro religione, ma trattandosi di una fede con forti ricadute nella vita sociale (e suscettibile di interpretazioni estremistiche) che si somma alla difficile integrazione nella nostra cultura e nella mentalità europea, si porranno grossi problemi. Già li vediamo in Francia. Anni fa Gilles Kepel, fra i più grandi esperti dell’Islam, metteva in guardia: «L’Europa è vista come il ventre molle dell’Occidente». Lo Stato Islamico in Medio Oriente e il terrorismo in Occidente sono stati battuti militarmente, ma ancora una volta, per il “ventre molle” che è l’Europa, il problema che pone l’Islam non è militare, ma culturale e politico.

Non a caso, alla vigilia di questo 11 settembre, proprio a proposito di Kepel, Meotti, sul Foglio, ha dato questa notizia: «Un grande accademico francese, specialista dell’Islam e arabista di fama mondiale, dopo la fatwa deve subire l’interdizione dall’insegnamento: il suo programma di studi è stato cancellato dall’Ecole normale supérieure... Parlando al Foglio Kepel spiega che il woke accademico si affida agli islamisti: “L’obiettivo è controllare il discorso sull’Islam nell’Europa migratoria”».

Ideologia woke e mondo islamico si trovano concordi all’addossare all’Occidente tutte le colpe (c’è chi parla di islamogoscismo). Il problema è l’ostilità alla nostra identità anzitutto da parte della sinistra. Già vent’anni fa Joseph Ratzinger diceva: «C’è qui un odio di sé dell’Occidente che è strano e che si può considerare solo come qualcosa di patologico; l’Occidente tenta sì, in maniera lodevole, di aprirsi pieno di comprensione a valori esterni, ma non ama più se stesso; della sua storia vede oramai soltanto ciò che è deprecabile e distruttivo, mentre non è più in grado di percepire ciò che è grande e puro». Le nostre radici millenarie sono elleniche-latine-giudaiche-cristiane e, dal Settecento, pure illuministe. Sono state fondamentali anche per la storia dell’umanità. Oggi dovremmo buttarle? Perfino un classicista come Maurizio Bettini – fra l’altro collaboratore di Repubblica - nel suo libro “Chi ha paura dei Greci e dei Romani?

Dialogo e cancel culture” (Einaudi) dichiara di non aver mai pensato che un giorno qualcuno avrebbe ritenuto pericolose le opere classiche greche e latine, «addirittura escludendone direttamente alcune dal canone; gli stessi che avrebbero accusato i classici di aver contaminato la nostra cultura con il razzismo, il sessismo, il suprematismo bianco, arrivando al punto di auspicare addirittura l’abolizione del loro insegnamento». Dovremmo ripudiare la nostra identità che – a loro dire - deve essere fluida. Il 12 settembre 2016, nell’anniversario della lezione di Benedetto XVI a Ratisbona, il cardinale di Vienna Christoph Schönborn disse: «Gli islamici vorrebbero approfittare della nostra debolezza, ma non sono responsabili per la nostra debolezza. Siamo noi stessi europei». Perché rifiutiamo le nostre radici, anzitutto quelle cristiane. La memorabile reazione di Oriana Fallaci all’11 settembre 2001, condensata nel libro “La rabbia e l’orgoglio”, sebbene apprezzatissima da molti lettori, fu bersagliata dai fulmini “progressisti” che vi lessero ostilità verso l’Islam e verso gli immigrati. Ma quel libro fu anzitutto uno struggente atto d’amore per la civiltà in cui era nata: fiorentina, italiana ed europea: «la nostra identità culturale», scriveva, «è molto precisa e bando alle chiacchiere: da duemila anni non prescinde da una religione che si chiama religione cristiana e da una chiesa che si chiama Chiesa Cattolica. La gente come me ha un bel dire: io-con-la-chiesa-cattolica-non-c’entro. C’entro, ahimè, c’entro. Che mi piaccia o no, c’entro. E come farei a non c’entrarci? Sono nata in un paesaggio di chiese, conventi, Cristi, Madonne, Santi. La prima musica che ho udito venendo al mondo è stata la musica delle campane. Le campane di Santa Maria del Fiore... È in quella musica, in quel paesaggio, che sono cresciuta. È attraverso quella musica e quel paesaggio che ho imparato cos’è l’architettura, cos’è la scultura, cos’è la pittura, cos’è l’arte, cos’è la conoscenza, cos’è la bellezza». Quella della Fallaci sull’11 settembre è stata anzitutto una lezione di amore. Alla storia di cui siamo fatti. È questo amore che oggi manca.

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