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Lampedusa chiama, Pontida risponde

di Daniele Capezzone lunedì 18 settembre 2023

4' di lettura

Certo che esiste una competizione – a tratti anche assai ruvida – tra Giorgia Meloni e Matteo Salvini. Solo chi non conosce la durezza della politica e le sue leggi spietate può illudersi che, a nove mesi da un voto decisivo come quello europeo, i capi di due partiti alleati ma pur sempre concorrenti rinuncino a portare acqua ciascuno al proprio mulino. Non solo: esistono pure lo human factor, le differenze personali e caratteriali, i momenti di incomprensione anche profonda, gli elementi di diffidenza che – in qualunque rapporto politico – giocano un ruolo tutt’altro che marginale. E tuttavia la notizia è che questa competizione, gestita con intelligente autocontrollo dai due protagonisti, fa bene a loro, al centrodestra e pure all’Italia. Ieri, in un fazzoletto di ore, la premier e il suo vicepremier hanno letteralmente fatto a pezzi il racconto mediatico che altri avevano imbastito da giorni secondo cui l’uno – da Pontida – avrebbe sparato a palle incatenate contro l’altra, e l’altra – da Lampedusa – avrebbe risposto scavando un fossato tra sé e la Lega.

È andata esattamente all’inverso. Salvini non ha usato la presenza di Marine Le Pen in modo distruttivo, anzi. Lui stesso e la sua ospite francese non solo sono stati ineccepibili nei confronti del governo italiano, ma – a ben vedere – sono stati misuratissimi pure verso l’Ue nel suo insieme. Saggiamente, hanno invece messo nel mirino la sinistra europea: nell’immediato, per la sua azione di freno e forse perfino di sabotaggio rispetto a un’efficace risposta comune contro l’immigrazione illegale; e in prospettiva, ribadendo l’obiettivo (va detto: difficilissimo) di sospingere i socialisti europei fuori dall’eurocoalizione che, dalla prossima estate, guiderà Commissione, Consiglio e Parlamento comunitari. Questo esito, pur desiderabile, è altamente improbabile: ma è politicamente notevole il fatto che Salvini e la Le Pen si siano ben guardati dallo sparare a casaccio.

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Di più: è oggettivo che proprio la pressione politica esercitata dalla missione italiana della Le Pen abbia probabilmente indotto il suo arcinemico Emmanuel Macron a dare l’ok alla missione navale congiunta Francia-Italia. Per ovvie ragioni di politica interna e di rapporto con l’opinione pubblica francese, sarebbe stato un suicidio per Macron rimanere fermo e muto mentre la sua avversaria era al centro della scena su un tema elettoralmente rovente. E simmetricamente, è altrettanto oggettivo il fatto che il pressing esercitato da Salvini abbia a sua volta avuto un ruolo nell’indurre Giorgia Meloni alla potente accelerazione della sua iniziativa politica nelle ultime 72 ore.


E qui si arriva alla premier italiana, che nel weekend ha conseguito – va detto – un successo politico rotondo, a fronte di un’emergenza delicatissima. Mettiamo in fila i risultati ottenuti da venerdì sera a mezzogiorno di ieri: la Germania ha dovuto fare retromarcia rispetto al suo iniziale diniego sulla redistribuzione dei profughi; Macron ha detto sì all’azione marittima congiunta con Roma; nessuno (né al Quirinale né a Bruxelles) ha pronunciato mezza parola contro le misure durissime annunciate da Meloni su detenzione e reimpatri; la von der Leyen si è precipitata a Lampedusa; lì, incalzata da un intervento introduttivo della nostra premier garbato ma politicamente severissimo, la presidente della Commissione ha assunto pubblicamente dieci impegni che vanno addirittura oltre le positive risoluzioni nei Consigli europei che la Meloni era riuscita a far approvare – sulla carta – da febbraio in poi. La von der Leyen, sotto gli occhi della Meloni, è arrivata a dire sì ad azioni comuni di sorveglianza aerea e marittima, e pure ad operazioni speciali per distruggere barconi e barchini vuoti. Si tratta di impegni letteralmente senza precedenti.

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Certo, non è oggi il momento di festeggiare, per almeno due ragioni. Primo: perché è il caso di vedere i fatti, e non di accontentarsi delle (pur ottime) parole. Secondo: perché la Commissione Ue è alla fine del suo mandato e ognuno gioca per sé. Dunque, mentre Ursula ha tutto l’interesse a conquistarsi il futuro sostegno politico di Giorgia, altri commissari possono avere mire politiche opposte. Ciononostante, quello della Meloni è un successo chiarissimo. Perché, a questo punto, delle due l’una: se Bruxelles darà seguito agli impegni, bene; se non lo farà, l’Italia sarà ultralegittimata a provvedere da sé, e nessuno potrà accusare la nostra premier di essere stata avventata o impaziente. Dunque, la Meloni ha dimostrato che si può efficacemente combinare la tessitura politica internazionale con la capacità – quando serve – di alzare la voce. Portando a casa risultati ragguardevoli.

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Come si vede, il mercato è una grande invenzione. In economia, assicura concorrenza e possibilità di scelta ai consumatori. In politica, innesca una competizione costruttiva che – in ultima analisi – giova sia a Fdi e Lega sia all’interesse nazionale italiano. E la sinistra? È letteralmente desaparecida, inesistente, non tocca palla. Cosa ha saputo esprimere in questi giorni? Nei corridoi di Bruxelles, un opaco lavorio per tentare di sabotare soluzioni forti. A Lampedusa, qualche mediocre show di figure di seconda fila, alcune delle quali già note per essere finite in barca, qualche anno fa, a recitare la parte – politicamente parlando – dei mozzi di Carola Rackete. Non basta ancora? Dal Pd è stata partorita una surreale e autolesionistica lettera (dal punto di vista italiano) di Laura Boldrini e Beppe Provenzano per chiedere all’Ue di non dar seguito al memorandum con la Tunisia. E infine va segnalata un’ancora più scombiccherata presa di posizione della stessa Boldrini che ha accusato il governo italiano (mica i trafficanti di esseri umani, mica le reti criminali!) «di creare il caos sull’isola così da attirare l'attenzione e alzare i toni». Verrebbe da dire: Pd assolto per non aver compreso il fatto. 


 

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