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La Gran Bretagna rinvia lo stop ai motori diesel

di Daniele Capezzone giovedì 21 settembre 2023

4' di lettura

La decisione l’ha presa il primo ministro britannico Rishi Sunak, ma la frase a effetto – una vera rasoiata – ha il copyright della ministra dell’Interno Suella Braverman: «Non salveremo il pianeta mandando in bancarotta i cittadini della Gran Bretagna». Una supersintesi di rara lucidità ed efficacia. E così, dopo anni in cui l’ecointegralismo aveva purtroppo contagiato pure i Tories, finalmente i conservatori battono un colpo nella direzione di un maggiore pragmatismo. Il premier ha infatti deciso di ritardare la marcia a tappe forzate che dovrebbe portare, nel 2050, al cosiddetto “netzero”, cioè a una riduzione delle emissioni al livello più vicino possibile allo zero.

Ieri pomeriggio, dopo una giornata di passione, Sunak ha tenuto una conferenza confermando il cambio di linea: «Mi importa raggiungere ‘netzero’ entro il 2050, ma sulla strada attuale rischiamo di perdere il consenso dei cittadini. Nessuno finora ha avuto il coraggio di guardare le persone negli occhi e di spiegare cosa sia davvero in gioco. Ciò è sbagliato», ha detto, lanciando quello che ha definito un «nuovo approccio» caratterizzato da tre aggettivi: «Pragmatico, proporzionato, realistico».

Formalmente, dunque, resta l’impegno di fondo in direzione green, ma non ci sarà una corsa a perdifiato e tutte le scadenze temporali saranno riviste, allungate, dilatate.In particolare, sarà rinviata (al- meno di 5 anni) la messa al bando delle auto a benzina e diesel (la scadenza sarebbe stata quella, ravvicinatissima, del 2030). E – in base alla medesima logica – saranno posticipate anche le altre tappe originariamente previste, come la sostituzione della caldaia a gas con la pompa di calore (non prima del 2035).

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LE COLPE DI BOJO

Come si vede, si tratta di un approccio più graduale. Dal punto di vista di Libero, Sunak potrebbe perfino essere criticato per un’eccessiva dose di cautela e timidezza nell’inversione di rotta: gli si potrebbe cioè rimproverare di non aver trovato il coraggio per rovesciare del tutto il tavolo. Tavolo – va detto – che era stato purtroppo apparecchiato, ormai diversi anni fa, da Boris Johnson: uomo pieno di carisma e di meravigliose intuizioni, tuttora probabilmente l’unica figura dei Tories in grado di catalizzare attenzione e attrarre consenso anche in aree tradizionalmente non conservatrici. E però (i maliziosi dicono: perché condizionato dalla sua terza moglie, Carrie Symonds, un’autentica ecomaniaca) è stato proprio lui a far impiccare la Gran Bretagna a impegni impossibili e scadenze serrate in nome del totem green.
Tra l’altro, ieri, prima che Sunak tenesse la sua conferenza stampa, Johnson è entrato a gamba tesa contro di lui, invitando il governo a “non tentennare”: di fatto, cioè, chiedendo la conferma del crono- programma esistente. Va detto che Johnson si era incamminato lungo questa china “verde” già molti anni fa, mentre era sindaco di Londra. Il guaio è che quando poi l’ala più ecointegralista dei laburisti ha a sua volta preso in mano la questione, tutto si è drammaticamente radicalizzato.

Oggi il più ecotalebano di tutti è l’attuale sindaco di Londra, il laburista Sadiq Khan, che di recente ha esteso a tutti i quartieri londinesi la temutissima Ulez, cioè l’area soggetta a basse emissioni e a draconiane restrizioni del traffico. Risultato? Se non hai un’auto superecologica, devi pagare una maxi tassa di 12 sterline e mezzo al giorno. Un’autentica follia. E questa deriva ha scatenato una rivolta generale. Una rivolta politica, con un’elezione suppletiva in un collegio vinta dai conservatori centrando tutta la campagna contro Ulez. Una rivolta di partito, con lo stesso leader laburista Keir Starmer (che già si sente virtualmente a Downing Street) che ha duramente polemizzato contro il suo sindaco, invitandolo “a riflettere”. E soprattutto una rivolta popolare, tra manifestazioni di piazza, telecamere bersagliate e vandalizzate, automobilisti inferociti.

Si è materializzato ciò che i critici più lucidi dell’integralismo verde avevano preconizzato: l’ira dei miti, la mobilitazione dei ceti medi, un’ondata di rabbia che ha investito anche molti britannici non politicizzati. Tutti consapevoli – però – di una spiacevolissima verità: il conto del fighettismo green sarà salatissimo, determinerà un bagno di sangue in termini di posti di lavoro persi, e soprattutto produrrà costi insostenibili per famiglie, imprese, proprietari di case e di auto.

CONSEGNATI ALLA CINA

Sunak, che è in cerca di temi che possano rimettere in partita elettorale i Tories, è stato lesto a fiutare l’aria, e intanto – non potendo forse fare di più – ha schiacciato il piede sul pedale del freno. Naturalmente, siamo in presenza di un tema che ormai – politicamente parlando – è una lama priva di manico: ci si taglia e basta. Se non si fa nulla e si mantengono gli obiettivi iniziali, si massacrano i ceti medi; se si cambia qualcosa, si genera comunque altra incertezza, e questa è stata ad esempio la lamentela dei produttori di auto (a partire da Ford Uk) dopo le dichiarazioni di Sunak. Il quale però, a nostro avviso, va sostenuto e incoraggiato rispetto a questa salutare frenata. Anzi, c’è da sperare che la sua scelta produca un sussulto di consapevolezza anche al di qua della Manica, e che a Bruxelles siano in molti a muoversi per frenare la raffica di direttive e regolamenti green (su auto, casa, imballaggi, pesca, agricoltura) i cui effetti rischiano di essere letteralmente devastanti.

Per ciò che riguarda l’automotive, in particolare, siamo in presenza di un autentico suicidio europeo. Bloccando la produzione di auto a benzina e diesel, l’Ue ammazza un settore in cui deteneva (e de- tiene tuttora) un primato, con Italia, Germania e Francia; impone ai consumatori una spesa ingente per cambiare l’auto; e si consegna al dominio cinese, non solo in termini energetici e tecnologici, ma pure in termini industriali, visto che Pechino è in grado di realizzare vetture a prezzi ultracompetitivi. Va peraltro aggiunto che, quand’anche l’Ue confermasse la sua linea masochistica, l’effetto complessivo sulla riduzione delle emissioni globali sarebbe minimo, visto che Cina e India continuano allegramente a bruciare carbone, e ovviamente non hanno alcuna intenzione di fermarsi.

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