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Cicchitto: così la mafia fermò Mani pulite

di Fabrizio Cicchitto sabato 30 settembre 2023

3' di lettura

Siamo finalmente arrivati al dunque per quello che riguarda i rapporti reali fra la mafia, settori molto diversificati anzi opposti fra di loro della magistratura e lo Stato. Dopo tanti anni di depistaggi sostanziali (tale è stata la vicenda della Trattativa stato-mafia che ha consentito di tenere sotto schiaffo per circa 20 anni i capi del Ros, da Mori a Subranni a De Donno che avevano arrestato Toto Riina) e di depistaggi formali (quello realizzato nei confronti del processo sull’assassinio di Borsellino) adesso forse si può andare al cuore della questione.

Lo si può fare partendo dallo smantellamento del depistaggio principale, quello costituito dalla pretesa Trattativa Stato-mafia perché la Cassazione, con sentenza definitiva, ha assolto Mori, De Donno, Subranni non perché «il fatto non costituisce reato», ma «per non aver commesso il fatto».

La distruzione del depistaggio fondamentale, con tutto il retroterra messo in evidenza dall’articolo di Filippo Facci dal titolo «la famiglia Borsellino e una accusa terribile: i mandanti sono fra i suoi colleghi» consente di arrivare ad una delle questioni di fondo. Perché Mani Pulite negli anni Novanta non ha mai passato lo Stretto di Messina? Come è noto Mani Pulite al Nord è entrata come un coltello nel burro costituito dai rapporti fra le imprese, gli amministratori locali, i partiti, i dirigenti nazionali.

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Poi da Milano in vario modo filoni di Mani Pulite sono scesi a Roma, al Sud, a Napoli, ma mai in Sicilia. Forse adesso si comincia a capire qualcosa. Molti osservatori hanno rilevato, qualcuno ipotizza la presenza dei servizi odi altri poteri occulti, che nei confronti di Falcone odi Borsellino la mafia non aveva usato l’ansia consueta metodologia omicida, per intendersi quella adottata anche nei confronti del generale Dalla Chiesa e di tanti altri servitori dello Stato (magistrati, poliziotti, carabinieri) ma è ricorsa ad operazioni stragiste di stampo libanese. Adesso comincia ad intravvedersi una risposta a questo interrogativo: la mafia, con le stragi che hanno colpito Falcone e Borsellino, non solo ha voluto liquidare due magistrati pericolosissimi, e vendicarsi ma ha lanciato anche un messaggio fortissimo a tutto il sistema: Mani Pulite non deve passare lo Stretto perché se ciò avviene il risultato sarà molto più devastante di quello che sta avvenendo al Nord.

IL SISTEMA SICILIANO - Nel sistema siciliano di Tangentopoli intorno al tavolo non ci stanno solo imprenditori, politici, partiti, sindaci, assessori e presidenti di Regione, ma anche il convitato di pietra costituito dai boss mafiosi. Allora in quel caso, esemplificato nella dizione mafia-appalti non sarebbe stato possibile ai grandi imprenditori ripetere l’operazione fatta da Carlo De Benedetti e da Cesare Romiti con le loro lettere-confessioni-genuflessioni al pool dei pm . Se la versione siciliana di Mani Pulite esemplificata nel dossier mafia-appalti fosse stata portata a compimento, come era nelle sue intenzioni, da Borsellino, come minimo i concorsi esterni in associazione mafiosa si sarebbero sprecati e avrebbero investito sia i grandi imprenditori sia i vertici delle cooperative rosse e bianche.

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Di qui la autentica corsa contro il tempo: da un lato Borsellino era ossessionato dall’esigenza di acquisire l’assegnazione del procedimento e di procedere rapidamente nelle indagini, dall’altro la mafia stragista accelerò i tempi per bloccare Borsellino impedendogli di procedere nelle indagini di un procedimento che gli fu assegnato per telefono da Giammanco alle 7.30 dello stesso giorno in cui fu poi assassinato alle 16.30. Così, preso dalla stessa fretta, a sua volta Giammanco, in modo del tutto ingiustificato, agendo sia per il sistema che per la mafia, annullò subito il procedimento senza che nessun sostituito procuratore d’avanguardia a Palermo dicesse alcunché. Lungo la stessa logica è stato effettuato il depistaggio del processo per l’assassinio di Borsellino operato dal questore La Barbera sotto il naso del pm Di Matteo mentre invece Boccassini si era accorta di tutto.

Come vede, caro direttore, si apre l’occasione di riscrivere un pezzo di storia del tutto occultato. Non è un caso, che delle deposizioni all’antimafia di Lucia Borsellino e dell’avvocato Trizzino si siano accorti solo Libero, L’Unita e il Dubbio nel silenzio più totale del resto della stampa nazionale. D’altra parte una cortina di silenzio era stata stesa anche dalla magistratura, in primo luogo da quella di Caltanissetta, che non ha mai voluto ascoltare né Giammanco né alla famiglia Borsellino. In ogni caso ci saranno ulteriori occasioni di approfondimento con l’ uscita a novembre di due libri, quello di Mori e De Donno e quello dell’avvocato Basilio Milio sul quale peraltro già ha offerto significative anticipazioni Facci sul suo giornale. 

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