Auto stracariche, carretti, gente a piedi: una fila lunghissima di persone lascia il nord di Gaza e fugge verso sud durante le sei ore di apertura dei due corridoi umanitari verso la parte meridionale della Striscia, da Beit Hanoun a Khan Yunis, o da Daldul e Al-Sana in direzione di Salah Al-Din e Al-Bahr. Persone che accolgono l’invito di Israele di spostarsi dalla zona nel mirino dell’operazione militare iniziata per tentare di salvare gli ostaggi ed eliminare i terroristi; persone che evidentemente ignorano l’appello a «non lasciare le proprie case» diffuso da Hamas. La direzione Sud inevitabilmente rimanda all’Egitto, a quel valico di Rafah che il Cairo ha chiuso e, per l’apertura del quale, anche ieri si è trattato: dalla stessa Gaza sono arrivate richieste esplicite, ma senza risultati.
È così che l’Egitto si fa plasticamente testimone del sentimento dei Paesi arabi, che non vogliono che l’apertura ai profughi da ordinato defluire diventi marea incontrollabile e rappresenti de facto la fuga dei palestinesi verso gli Stati confinanti (ma il Cairo ha concesso il lasciapassare a 600 palestinesi con passaporto Usa e a tutti i cittadini stranieri di Gaza). È un bel paradosso: dal mondo islamico solidarietà alla Palestina per il giubilo della retorica buonista occidentale (foraggiata anche da quegli islamici che nel satanico Occidente vivono, investono e non si sognano di lasciarlo) - però è bene che i palestinesi restino dove sono. L’Egitto, tuttavia, non ha simpatia per i palestinesi e il presidente Al Sisi ha duramente combattuto gli integralisti della Fratellanza Musulmana per debellarli. E che proprio Al Sisi non voglia far diventare le sponde del Nilo campo profughi della Palestina è bene anche per noi: si ritroverebbe in mano una potenziale bomba-immigrati da scaricare sull’Europa, eventualità da evitare come insegna la partita tutta aperta con la Tunisia di Kais Saied e quella mai chiusa con la Turchia quel furbacchione di Erdogan Del resto, l’Egitto accoglie già circa 6 milioni di stranieri, dei quali circa 300mila profughi: prima della crisi migratoria dovuta all’“esplosione” dell’area, nell’ultimo decennio, ne contava circa 70mila. Il problema dei fuggischi palestinesi, inoltre, non è soltanto che possano sciamare in Europa (e fra di loro infiltrarsi i jihadisti) ma che possano anche essere usati per trasformare gli Stati arabi come satelliti dell’Iran.
Come accaduto in Libano. Proprio un’istantanea dal Libano, fatta da padre Michel Abboud (presidente della Caritas locale) su vaticannews.va/it, chiarisce come la si pensa da quelle parti: nel Paese dei cedri sono presenti due milioni di profughi siriani fuggiti dalla guerra che ha colpito la loro nazione, «il popolo libanese è di quattro milioni quindi due milioni di profughi siriani non sono facili da accogliere e provocano molti problemi di gestione».
E Al Sisi non vuole correre un pericolo analogo in Egitto (benché le dimensioni geografiche e sociali siano diverse) dopo gli sforzi fatti, anche perché elezioni presidenziali di dicembre incombono e la gestione della “questione palestinese” sarà una delle carte più pesanti da maneggiare. Di traslato, la stessa riflessione è applicabile alle altre realtà della regione. Se tu sei la Giordania e ti ritrovi in casa centinaia di migliaia di palestinesi, la salute del governo istantaneamente traballa. E, come detto, se vale per Egitto, Libano e Giordania, vale per Siria, Turchia, Arabia, Emirati.
Tutte queste nazioni stanno parlando con l’Egitto nell’ottica di fare fronte comune. Perché se tutti dicono “no” va bene a tutti, se l’Egitto dice sì, a cascata diventa un problema per tutti. L’altro lato della medaglia della real politik è che i vari governi arabi non possono neppure assistere imbelli all’azione di Israele, perché in caso di molte vittime civili a Gaza l’opinione pubblica interna insorgerebbe. Per questo, come extrema ratio, stanno cercando di fare i buoni ma “aiutandoli a casa loro”, sollecitando Israele perché «permetta la consegna di aiuti umanitari a Gaza e rispetti il diritto internazionale». Per questo fa riflettere la singolare posizione di quanti, mentre invocano accoglienza a tutti i costi a carico dell’Italia per ogni individuo che sbarca sulle nostre coste con le più disparate giustificazioni, adesso che si trovano di fronte veri profughi di guerra tengono ben chiusi i cancelli.
Il bilancio delle devastanti inondazioni causate dalla tempesta che ha colpito il Texas centrale sale ad almeno 51 morti. Ventisette i dispersi.Il dato ufficiale fornito dalle autorità parla ancora di 43 vittime ed è probabile aumenti nella zona più colpita della contea di Kerr. Sempre le autorità sabato in una conferenza stampa hanno dichiarato che 15 delle vittime erano bambini. Il governatore Greg Abbott ha promesso che le squadre avrebbero lavorato 24 ore su 24 per soccorrere e recuperare le vittime. Ancora da ufficializzare il numero delle persone disperse, a parte 27 bambine che si trovavano in un campo estivo femminile.