L’altro giorno dalla stazione Centrale di Milano mi stavo dirigendo verso la parte che conduce alla fermata della metro. E, fatto non nuovo, una signora si è messa a urlare contro una coppia di giovani ragazze rom che stava tentando di fregarle la borsa; è bastato quel po’ di movimento e di attenzione da parte di altra gente per portare le due fuori dalla zona d’attacco. Quello che mi ha stupito (ma solo in parte) era la strafottenza con cui si atteggiavano dopo il tentativo di borseggio, come a dire: tanto non mi potete fare nulla.
Mi sono venute alla mente le immagini che le televisioni trasmettono su uno spaccato di vita quotidiana e su cui, nonostante il clamore, pare che davvero non si riesca a venirne a capo di una e che quasi quasi sia un loro diritto a fregare la gente. Sembra che tutto segua un copione consolidato al termine del quale il malcapitato si ritrova con l’aver perso solo tempo dietro le denunce, e le manoleste nuovamente sul campo.
Questa rassegnazione e questa rabbia ovviamente prendeva corpo nei commenti della gente e siccome anch’io come gli altri mi accingevo a prendere la metro pagando il biglietto (abitudine che purtroppo non è di tutti e pure su questo abbiamo già scritto invano), mi sono ritrovato coinvolto nella discussione: «Lei che va in tv deve dirle queste cose, è uno schifo».
LA LEGGE DEL DOPO
Questo episodio mi è tornato alla mente ieri mattina mentre leggevo sui giornali del terrorista che a Bruxelles ha ucciso due persone. E mi sono domandato come può un Paese che non riesce a tenere a bada delle borseggiatrici rom o dei balordi che molestano le persone, pensare di fermare i terroristi fossero questi dei lupi solitari. C’è sempre un qualcosa per cui il loro diritto a circolare liberamente vale più di un interesse superiore. Perché questo è quel che abbiamo letto a proposito di Abdessalem Lassoued. Ma davvero dobbiamo arrivare “dopo” e mai approfittare del “prima”? Anche Anis Amri, il ragazzo che il 19 dicembre del 2016 uccise 12 innocenti a Berlino lanciando un furgone contro i mercatini di Natale era sbarcato in Italia ed è sempre in Italia, a Sesto San Giovanni (sede di uno dei più frequentati centri islamici) le forze dell’ordine lo hanno ucciso dopo uno scontro a fuoco.
«Il terrorista sul barcone» abbiamo splendidamente titolato ieri su Libero sottolineando un particolare che deve aver colpito le redazioni di quasi tutti i giornali: l’omicida infatti era arrivato via mare a Porto Empedocle, provincia di Agrigento (dopo essere uscito da un carcere tunisino a seguito delle rivolte della Primavera araba, come Anis Amri). Dopo aver peregrinato e fatto danni in giro per l’Europa, dove tra un furto e l’altro delirava di rivoluzioni jihadiste, ce lo siamo ritrovato ripetutamente in Italia (pare che fosse conosciuto a Bologna), e qui con un decreto di espulsione in mano firmato dalla polizia e con strane idee nella testa è finito al Cie di Caltanissetta. E che succede? Che presenta ricorso contro l’espulsione e siccome l’udienza è troppo in là, i giudici dispongono la sua liberazione. Con tanti saluti a tutti.
CRESCE LA PAURA
Allora mi domando, come pensiamo che la gente possa vivere tranquilla? Non bastava l’insicurezza di abitare in certe zone o la paura di rientrare a casa incrociando i balordi di turno, ora sta salendo pure quella stessa angoscia che ci prende dopo le notizie di attentati. «È un matto», «È gente isolata»: c’è sempre un motivo per circoscrivere notizie che prima finivano in cronaca locale e ora montano. L’immigrazione che stiamo subendo è pericolosa. Sono contento che stiano arrestando soggetti vicini all’Isis, sgominando cellule di predicazione terroristica e quant’altro, ma non è che finisce come con le borseggiatrici rom, con le bande che occupano gli appartamenti per poi assegnarli a chi vogliono loro o come con chi controlla le zone dello spaccio?