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Daniele Capezzone: Israele-Hamas, la regia che punta a far saltare ogni dialogo

di Daniele Capezzone giovedì 19 ottobre 2023

4' di lettura

 Premessa doverosa: non credo ai “complotti”, alle teorie cospirazioniste, a chi fa ricorso sistematico a scenari complicatissimi e non di rado fantasiosi. Meglio credere ai fatti, e attenervisi rigorosamente. Meglio ancora – però – elaborare diversi scenari, interrogarsi sull’altro lato possibile delle cose. E – andreottianamente – “pensar male”, rischiando magari di far peccato, ma anche, secondo quel celebre adagio, di azzeccare. E infatti, non solo nei romanzi di Graham Greene, non solo nelle migliori spy -stories, ma anche nella nostra prosaica e cupa realtà, non è mai troppo saggio accontentarsi del “caso” come spiegazione principale degli eventi. Per carità: può sempre esserci una quota di coincidenza, di non previsto, di fattore accidentale, di non preventivato. Ma è altamente improbabile che eventi capaci di mutare profondamente il corso della politica mondiale avvengano – diciamo così – totalmente per sbaglio, completamente all’insaputa degli attori principali, in una dimensione di inconsapevolezza. È invece assai più realistico per lo meno non escludere che qualcuno li abbia pianificati, li abbia messi in sequenza logica e cronologica, immaginandone le possibili conseguenze, e puntando a determinare effetti politici rilevantissimi.
Lo ripeto ancora, a scanso di equivoci: non possiamo avere certezze al riguardo. Sarebbe da superficiali. Ma sarebbe ancora più superficiale escludere a priori l’esistenza di un disegno.

PRIMO BOICOTTAGGIO
Si prenda l’evento scatenante dell’ultima crisi in Medio Oriente: mi riferisco all’orrenda carneficina realizzata da Hamas il 7 ottobre scorso, massacrando civili, uccidendo e mutilando orribilmente bambini, stuprando donne, infierendo perfino sui cadaveri dei civili israeliani. La scala della violenza scelta e il livello perfino provocatorio di disumanità sono stati volutamente così elevati da rendere inevitabile una reazione. Chi ha concepito e realizzato quel piano criminale non poteva non saperlo. E allora perché ha agito così e - domanda altrettanto pregnante – perché ha agito esattamente in quel momento? Una spiegazione possibile c’è, ed è la volontà chiara, in primo luogo iraniana, di provare a sabotare la fase finale degli accordi tra Arabia Saudita e Israele. Il compimento definitivo di quell’intesa cambierebbe (speriamo di non dover già coniugare i verbi al passato: avrebbe cambiato) il volto del Medio Oriente, legando in un patto Gerusalemme e Riad, e fatalmente marginalizzando il ruolo di Teheran. Che infatti si è probabilmente mossa per far saltare tutto.
Sarà un caso (io penso proprio di no), ma è esattamente in quel momento, dopo una lunga preparazione, che è scattato il semaforo verde a favore dei terroristi di Hamas, trattati come un service provider, un fornitore di servizi nel ramo “sangue & devastazione”. Obiettivo ipotizzabile? Creare una deflagrazione tale da additare Israele come nemico assoluto dell’intero mondo arabo e musulmano: un soggetto con cui non si può siglare nessuna intesa.

E qui si arriva alla seconda occasione in cui il timing, la tempistica di un evento non può essere forse considerata casuale. Mi riferisco al tremendo attentato che ha colpito l’ospedale di Gaza. Ieri Libero è stato l’unico giornale a offrire ai lettori la versione corretta (razzo di Hamas), mentre troppi altri giornali hanno scelto pilatescamente di mettere sullo stesso piano versioni contrapposte. Il trascorrere delle ore ha fatto giustizia, per così dire: tra prove video e prove audio, ci sono elementi più che sufficienti per inchiodare Hamas. Senza dire – è doloroso ma doveroso ricordarlo – che l’esperienza insegna come il terrorismo palestinese non sia mai fatto scrupolo di usare perfino ambulanze e ospedali come strumenti di lavoro.

SECONDA COINCIDENZA
Ma, al di là di questo, le due domande sono: perché proprio l’ospedale e perché in quel momento? Le risposte sono analoghe a quelle che abbiamo visto prima ricostruendo la genesi del 7 ottobre. La scelta cinica dell’ospedale serviva – puntando ovviamente a colpevolizzare Israele – a dare l’idea di un nemico spietato pronto a sacrificare anche gli ammalati, perfino i più deboli e indifesi. Il che, dal punto di vista di Hamas, è semmai un elemento “autobiografico”: si tratta del modus operandi dei terroristi, non certo di Gerusalemme. Resta il secondo quesito: perché proprio l’altra sera? E anche qui la scelta non può essere stata casuale: stava infatti per scattare la missione mediorientale del presidente Usa Joe Biden, atteso in Israele e successivamente in Giordania per un vertice al quale avrebbero dovuto partecipare il re di Giordania Abdullah II, il presidente egiziano Al Sisi, e il presidente dell’Autorità Palestinese Abu Mazen. Ovviamente, subito dopo la tragedia dell’ospedale, quest’ultimo si è chiamato fuori e ha chiesto e ottenuto l’annullamento del summit. Si è dunque sabotata un’importante occasione di dialogo: dialogo che – di tutta evidenza – qualcuno non vuole. Siamo sicuri che le cose siano andate così? Naturalmente no: solo dei pazzi possono avere certezze assolute. Ma occorre essere ancora più pazzi per rifiutarsi di ragionare sui rapporti causa-effetto, e sulle concatenazioni temporali e logiche tra i fatti. In questo scenario, c’è da dubitare che sia stato solo il service provider, il fornitore di servizi terroristici, cioè Hamas, a pensare tutto. C’è quanto meno da chiedersi se menti ben più sofisticate, sicuramente a Teheran (e chissà, forse perfino a Pechino e a Mosca: chi può saperlo?), possano aver contribuito a elaborare e a suggerire i tempi e i modi di una partita tragica che vede ormai chiaramente contrapposte le nostre democrazie occidentali, schierate accanto a Israele, e una rete di autocrazie e dittature, palesemente interessate a un progetto di destabilizzazione globale simultanea e su più fronti.

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